Hazem Beblawi, presidente del consiglio a interim dell’Egitto, prosegue le consultazioni con i partiti allo scopo di formare una nuova maggioranza. Il tutto in un quadro politico molto teso, con le autorità giudiziarie che mercoledì hanno ordinato l’arresto di Mohamed Badie, guida suprema dei Fratelli musulmani. Tareq al-Morsi, portavoce del Partito Libertà e Giustizia legato al movimento islamista, ha escluso qualsiasi partecipazione a un governo di larghe intese: “Non faremo accordi con i putchisti. Respingiamo tutto ciò che deriva da questo colpo di Stato”. Intanto per oggi si prepara un’imponente manifestazione dei Fratelli musulmani, con il rischio di scontri in tutto il Paese. Ilsussidiario.net ha intervistato Tewfik Aclimandos, egiziano, ricercatore di Storia contemporanea del mondo arabo al Collège de France.



Che cosa ne pensa degli ultimi sviluppi politici in Egitto?

Quanto è avvenuto è stato un sollevamento di massa, che può essere definito una seconda rivoluzione contro i Fratelli musulmani non meno importante della prima contro Mubarak. L’Esercito ha colto al volo l’occasione, ma non si può affermare che si sia trattato di un colpo di Stato. Piuttosto si è avuta una grande coordinazione tra numerose forze politiche e istituzioni dello Stato per fare cadere Morsi, ma ciò non si sarebbe potuto ottenere senza una mobilitazione di massa.



Chi c’era davvero dietro a questa manifestazione?

E’ impossibile riuscire a portare in piazza 20 milioni di persone, se la popolazione non è molto arrabbiata contro il regime e fortemente intenzionata a farlo cadere. Le forze istituzionali che hanno collaborato ad abbattere Morsi includono l’esercito, ma anche liberali, partiti di sinistra e salafiti. Il nuovo premier Hazem el-Beblawi è una buona scelta e un brillante economista, con l’esperienza necessaria per il suo nuovo ruolo.

Morsi è un presidente eletto democraticamente. Davvero quella contro di lui può essere definita una rivoluzione?



Sì, si è trattato di un processo rivoluzionario con una partecipazione politica di massa finalizzata a un cambiamento. E’ vero che Morsi era stato eletto, ma evidentemente un anno fa la gente aveva creduto che si trattasse di una persona in grado di coabitare e di perseguire un equilibrio di poteri con l’esercito, e non di scontrarsi con i militari come ha fatto. Inoltre il leader dei Fratelli musulmani non ha rispettato il programma elettorale sulla cui base aveva vinto. Ricordo tra l’altro che al primo turno delle presidenziali ottenne circa il 25% dei consensi, e che vinse solo grazie al ballottaggio.

 

L’esercito ha ucciso 50 manifestanti dei Fratelli musulmani e chiuso sette canali tv. Le sembra un comportamento democratico?

Mi dispiace per quanto è avvenuto e ritengo che debba essere fortemente condannato, ma ritengo che ce lo si potesse in qualche modo aspettare. L’esercito non è preparato a gestire le manifestazioni e a rispondere con gradualità. Quello di mantenere l’ordine è un compito che spetta alla polizia, e quando subentrano i militari gli scontri che si verificano sono molto più pesanti. La maggior parte dei manifestanti dei Fratelli musulmani erano pacifici, ma una parte di loro usava le armi. E’ evidente che l’esercito è stato provocato e che ha reagito con eccessiva forza.

 

Quella contro Morsi è stata una sollevazione provocata anche da potenze straniere?

Il più grande nemico dei Fratelli musulmani è l’Arabia Saudita, che odia profondamente il movimento islamista fin dai tempi dell’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein, quando i sauditi si schierarono contro il dittatore irakeno e il partito egiziano a favore. Nonostante ciò gli Stati occidentali hanno guardato ai Fratelli musulmani come a una realtà democratica, contrapponendola alla tendenza reazionaria da parte dell’Arabia Saudita.

 

E questo ha scatenato le gelosie saudite?

Esattamente. Diversi commentatori occidentali hanno affermato che i Fratelli musulmani sono il futuro del Medio Oriente e che il regime saudita al contrario dovrebbe scomparire. Tutto ciò ha portato l’Arabia Saudita a fare di tutto pur di mettere i bastoni fra le ruote ai Fratelli musulmani, al punto da promettere che se l’esercito avesse impedito al partito islamista di salire al potere avrebbe ottenuto il pieno sostegno da parte di Riyad.

 

Quindi i manifestanti che hanno fatto cadere Morsi erano manovrati dall’esterno?

In primo luogo ricordo che i Fratelli musulmani erano a loro volta sostenuti dal Qatar, senza i cui fondi il regime egiziano sarebbe già collassato sei mesi fa. Le intenzioni di Morsi erano inoltre profondamente autoritarie, e il presidente ha tradito tutte le sue promesse democratiche cercando di lanciare riforme che stavano portando a uno Stato totalitario.

 

Il rischio di una deriva autoritaria da parte dell’esercito non è altrettanto grave?

No, l’esercito è interessato a difendere la democrazia, in cambio del fatto che i partiti laici non attacchino i privilegi dei militari. I generali non hanno però il minimo desiderio di assumersi la responsabilità di governare un Paese instabile come l’Egitto, la cui ripresa economica dovrà passare necessariamente attraverso l’assunzione di misure impopolari. Inoltre se i generali dovessero assumere il potere, porterebbero liberali, salafiti e Fratelli musulmani a coalizzarsi contro di loro.

 

(Pietro Vernizzi)

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