La situazione in Turchia rimane molto complicata. Dopo che il Governo si è ritrovato costretto a riaprire il parco Gezi, grazie ad una sentenza di un Tribunale amministrativo che ha dichiarato nullo il progetto immobiliare, la scorsa domenica centinaia di manifestanti avevano deciso riunirsi nello spazio pubblico.

Questa nuova manifestazione, organizzata tramite Twitter e Facebook, ha tuttavia trovato l’opposizione del governatore di Istanbul che ha immediatamente vietato ogni assembramento di persone.



Dopo nemmeno tre ore, la gente che si stava riunendo intorno a piazza Taksim e al Parco Gezi è stata costretta ad abbandonare il luogo pubblico sotto il duro attacco della polizia che ha un’altra volta utilizzato il pugno di ferro.

Non sono stati utilizzati solo getti d’acqua, ma anche spray urticanti e proiettili di gomma per disperdere una manifestazione pacifica che aveva la semplice intenzione di riappropriarsi di un luogo che era stato ingiustamente chiuso dal Governo. La sentenza del Tribunale amministrativo è stata infatti resa pubblica solo ad inizio luglio, quando invece era stata presa ad inizio di giugno proprio durante il clou delle proteste. Una situazione molto imbarazzante per il Governo, che ancora una volta ha perso la credibilità di fronte ai manifestanti.



Per tutta la nottata di lunedì gli scontri con la polizia si sono susseguiti nel centro di Istanbul, ma quel che più ha sorpreso la cittadinanza della megalopoli turca è stata la decisione di chiudere tutto il centro e le strade che portavano a Taksim fin dalle cinque di pomeriggio. Le persone che lavoravano nei dintorni di Taksim sono state costrette a lasciare il proprio lavoro e la stessa Istiklal Caddesi, la principale via commerciale di Istanbul, è rimasta chiusa. Una situazione alquanto complicata e derivante dalla decisione di mantenere il divieto di fare delle manifestazioni all’interno di Gezi Park. La gestione della protesta non sembra essere il “forte” dell’amministrazione Erdogan.



Le preoccupazioni interne del premier turco sono inoltre incrementate dallo scenario che si sta delineando a livello medio-orientale.

Il caos egiziano, oltretutto, potrebbe avere delle ripercussioni indirette nel Paese guidato da Erdogan. La caduta del Governo di Morsi e il golpe di Stato da parte dei militari ha fatto perdere un valido alleato alla Turchia, che si stava posizionando al centro dello scacchiere medio-orientale con la sua democrazia a leadership islamica. Tra i Fratelli musulmani di Morsi e il Partito Sviluppo e Giustizia turco vi era un forte sodalizio e non si può non notare che l’insuccesso popolare egiziano non sia in una qual maniera legato all’insuccesso nella gestione della protesta turca.

Certamente, in Turchia vige una democrazia molto più forte e consolidata e il potere militare ha subito una forte decapitazione nel corso degli ultimi anni, ma è chiaro che la situazione rimane molto incerta. È quasi impossibile un intervento militare, ma l’opposizione ad Erdogan rimane fortemente frammentata e debole e non è facile prevedere quanto possa succedere.

Quella che era partita come una protesta per il salvataggio di un piccolo parco al centro di Istanbul è diventata una grande occasione per l’opposizione per riformarsi, ma non sarà affatto facile. L’unica certezza è che Erdogan ha perso molto consenso popolare e al contempo ha visto indebolita la propria posizione internazionale.