Alla vigilia della formazione del nuovo governo egiziano, preteso da circa 20 milioni di persone scese in piazza al grido di “Erhal” (“Vattene”) indirizzato a Morsi, dando così vita alla primavera araba, quella vera, giungono dalla Turchia le parole di Erdogan che stridono con l’attuale stato d’animo di tutto il mondo arabo. Il premier turco avrebbe affermato in un comizio “Il mio presidente è Morsi”, ponendosi in netta contrapposizione alla destituzione dell’ex leader egiziano e rifiutando di incontrare il neo vice presidente Mohamed El Baradei. I Fratelli Musulmani sono notoriamente vicinissimi al Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) di Erdogan, che da circa un decennio rappresenta la formazione politica di tendenza islamica più forte e largamente riconosciuta in Turchia.



Oggi il partito è accusato dai suoi oppositori di rifiutare un Islam moderato, probabilmente per via della sua sentita e mai celata identità estremista, per la sua apertura ai nascenti membri di un nuovo ceto medio “islamico” che è emerso recentemente nella società turca. E il movimento mira a spingersi oltre: non è un caso che qualche intellettuale abbia parlato di una svolta “Neo-Ottomana” della Turchia. Lo si è visto chiaramente proprio in occasione della primavera araba di due anni fa, quando Ankara ha cercato di aumentare la propria influenza politica nel quadrante nordafricano e mediorientale. Non trattasi di un semplice riproporsi della “democrazia islamica”. I dirigenti dell’AKP hanno un quadro d’ispirazione diverso da quello a cui i partiti islamisti mediorientali o nordafricani fanno riferimento. Le riforme di Erdogan hanno creato una nuova via che potrebbe essere definita come una sorta di deriva “islamokemalista”.



Tutto ciò, anche sul piano della politica interna, apre verso uno scenario incerto che esula dallo scontro fra schieramenti proprio perché in ballo c’è sempre la questione dell’Islam e della laicità. Ma adesso la Turchia ha a che fare con una nuova generazione di elettori, tra cui tanti studenti, che non hanno visto di buon occhio il progetto politico di Erdogan nella gestione della società civile e nella sua continua presa di posizione contro la modernità. La situazione attuale dovrebbe far riflettere in merito alle conseguenze future che si potrebbero delineare nel territorio turco. E’ chiaro che Erdogan si trova ad affrontare un momento di crisi che, nei dieci anni da quando è presidente, non ha precedenti. Tuttora gli scontri non si sono placati: la stampa turca riferisce che solo martedì mattina almeno 30 persone sono state arrestate dalla polizia a Istanbul per avere partecipato alle proteste anti-governative.



Un popolo, quello turco, che ha storicamente un alto livello culturale per merito del progressismo di Ataturk. Un popolo che ha assaggiato la libertà, che sa cos’è la democrazia, e contro la quale una politica repressiva ha vita breve. Erdogan lo sa bene e già sente la terra tremare sotto i suoi piedi: se è caduto Morsi cadrà anche lui. Da qui il suo comportamento repressivo, quasi schizofrenico, che ha fatto storcere il naso all’Europa comunitaria per quanto riguarda le libertà civili e la libera e non violenta manifestazione del pensiero. Queste manifestazioni di insofferenza non possono essere ridotte ad un’ordinaria protesta di giovani il cui simbolo dominante è Piazza Taksim. In realtà quei giovani, che proprio ad Ataturk si ispirano, hanno dato un avvertimento inequivocabile che deve essere valorizzato dalle autorità turche con tutta la dovuta attenzione.