La vicenda del dissidente kazako Ablyazov presenta gli aspetti di un giallo internazionale che ha minacciato di far saltare Angelino Alfano causando la fine del governo Letta. Questa vicenda avrà ripercussioni sulla presenza dell’Eni in Kazakistan, Paese pieno di importanti risorse energetiche? Cosa c’è in gioco di così importante da aver fatto rischiare l’esecutivo? Lo abbiamo chiesto a Giulio Sapelli, professore di storia economica nell’Università statale di Milano.
La vicenda del dissidente kazako Ablyazov potrebbe tornare a danno dell’Eni?
Il gas questa volta non c’entra assolutamente nulla. È una vicenda molto più grande. Per carità, bisognerebbe chiederlo alle relazioni istituzionali dell’Eni. Ma mi pare che si sia parlato di tutto senza che nessuno abbia sollevato il problema dell’Oil and Gas di Karagandà.
Ablyazov è un dissidente sui generis, non le pare?
Era il braccio destro di Nazarbaev, è stato ministro dell’Energia e in Kazakistan il ministro dell’Energia è il Kazakistan. Molto amico della Shell. Non a caso si è rifugiato a Londra, dove le cose si sono però complicate perché l’Interpol è stata costretta a occuparsi di lui per la sparizione di 9 miliardi di dollari da una banca. Si presenta come rifugiato politico, ma è anche un ricercato internazionale per crimini economici.
Cosa c’è davvero in ballo, professore?
Credo che questa vicenda abbia a che fare con il conflitto che si è aperto tra la Turchia e il Kazakistan per l’egemonia nell’Asia centrale. Vuol dire tante cose, per esempio che Nazarbaev non è più così sicuro come un tempo. Non è un caso che Ablyazov si sia rifugiato in Inghilterra, dove da secoli si cerca di mediare i conflitti in quell’area. Fosse stata una vicenda esclusivamente “energetica” l’avrebbero già risolta e con modi molto spicci.
E la moglie di Ablyazov?
Non è un caso che non abbia mai chiesto asilo politico e non abbia mai fatto appello alla Convenzione dei diritti umani.
Non c’entrano i diritti umani?
Mi sembra molto riduttivo metterla su questo piano. Tutto questo stracciarsi le vesti per i diritti umani, francamente, mi fa un po’ sorridere. Vuol dire non avere idea di che partita si sta giocando in Asia centrale.
Glielo chiedo io: che partita si sta giocando in Asia centrale?
Impedire il propagarsi delle primavere arabe in quella zona. Perché se prende fuoco quell’area, è il mondo che prende fuoco.
Cosa doveva fare la signora?
Doveva rivolgersi alle autorità e chiedere asilo politico. Ma qui c’è un problema gravissimo.
Quale problema?
Riguarda Emma Bonino. Il ministro degli Esteri doveva convocare subito l’ambasciatore kazako alla Farnesina per chiedergli conto come mai invece di rivolgersi a lei si è rivolto a un capo della Polizia. È anche un problema di stile. Ma lo stile è come il coraggio: parafrasando Manzoni, si potrebbe dire che chi non ce l’ha non se lo può dare. Credo che fare bene il ministro degli Esteri dopo Colombo e Andreotti sia molto difficile.
Cosa avrebbero fatto in una circostanza del genere?
Esattamente quello che le ho detto: avrebbero immediatamente convocato l’ambasciatore e l’avrebbero costretto a presentare le scuse. Invece, dalla Farnesina neanche una parola: davvero imbarazzante. Un ambasciatore che si comporta in quel modo, e tu non lo richiami, è un fatto unico nella storia della diplomazia mondiale. Invece come italiani abbiamo dovuto subire anche quest’onta, abbiamo anche questo primato. Non è successo niente neanche in Parlamento.
Cosa avrebbe dovuto fare il Parlamento?
Non c’è stato nessuno che abbia convocato la Bonino. E dire che lì abbiamo persone di prim’ordine, come Marta Dassù, che è una studiosa, ma è viceministro e non può certo prendere iniziativa lei.
Ce l’hanno tutti con Alfano…
Veramente è tutto strumentale. Ce l’hanno con Alfano perché è amico di Berlusconi. E la Bonino?