La Giornata mondiale della Gioventù 2013 porta papa Francesco in Brasile, Paese che, sebbene appartenente al Continente da cui proviene, non costituisce certo per un argentino come lui una nazione totalmente amica. È nota infatti la diatriba che da lustri divide le due popolazioni che, se non in cagnesco, non si guardano certo con simpatia. Ma forse l’ex cardinale Bergoglio vuole sfatare anche questo tabù, sebbene di relativa importanza. Il problema è che il Brasile costituisce la nazione più cattolica dell’America Latina, ma anche quella dove il cattolicesimo, pur se storicamente radicato come in tutto il continente sudamericano, ha perso più fedeli a scapito di una serie incalcolabile di chiese non riconosciute da Roma che hanno eroso in questi ultimi anni circa il 30% dei fedeli.
E qui emergono le contraddizioni di una nazione che ha vissuto un boom che l’ha portata a essere una delle più forti economie della Terra, ma a scapito di disuguaglianze sociali che hanno recentemente provocato le proteste e i disordini contro un’altra religione brasiliana, la più diffusa, quella del football. Ed è un segnale veramente molto forte di cui l’attuale Presidente Dilma Rousseff non può non tener conto; e difatti la visita papale viene a costituire per il suo Governo un’occasione grandissima di cui approfittare, contando non solo sul carisma ma anche sull’umanità di Francesco, un Papa che sta inesorabilmente, anche se lentamente, cambiando la Chiesa cattolica.
Il primo mandatario brasiliano si è mostrata, come tutti i leader dei paesi latinoamericani (con la sola eccezione dell’Argentina dalla quale proviene) entusiasta dell’elezione di Bergoglio, fatto che mette sotto i riflettori un Continente troppo spesso dimenticato dai mass media, ma che ha anche un rovescio della medaglia nel dare il giusto peso alle notizie che provengono da lì, spesso mettendo sotto la lente d’ingrandimento gli eventi.
Nazione dalle grandi contraddizioni quindi, il cui accentuarsi ha costituito un formidabile terreno di popolarità per altre confessioni che spesso mietono proseliti sulla disperazione di masse a cui il progresso ha tolto o peggiorato elementi basici come l’assistenza sanitaria e l’istruzione: Rousseff ha promesso di intervenire e si ha la ragione di credere che proprio la visita papale sarà il primo appuntamento mediatico da usare per dare risalto agli sforzi del suo Governo tesi a trovare una soluzione urgente ai problemi. Visita papale quindi come elemento positivo per la nazione “carioca”, ma che rischia di essere l’ennesima finestra mediatica negativa per l’Argentina e la sua Presidente Cristina Fernandez de Kirchner.
Inizialmente Francesco doveva fare tappa anche a Buenos Aires, ma l’imminenza delle elezioni per la composizione di Camera e Senato in programma a ottobre gli hanno consigliato di non andare: ma non credo che il Papa si asterrà totalmente dall’interesse verso la sua patria nativa. Difatti è in programma un incontro che si pensa avverrà al sambodromo di Rio de Janeiro con gli argentini che presenzieranno alle celebrazioni della Giornata Mondiale della Gioventù. Purtroppo questo è un ennesimo brutto momento per l’Argentina, afflitta da una inflazione vieppiù galoppante, con il prezzo del pane che è salito del 300% rispetto allo scorso anno, ma non solo: il kircherismo è riuscito pure in due mosse a smentire i cardini della sua ideologia basata sul martellamento ideologico che si è trasformato in un boomerang da far invidia agli australiani.
Uno dei leit motiv che hanno accompagnato la politica kirchnerista di questi anni è stato il portare la bandiera dei diritti umani, anzi di farsene i monopolisti nella storia argentina: peccato che si è scoperto che i diritti umani non valgono per le popolazioni indigene, come ad esempio i Qom e i Mapuche, oppressi da regimi regionali appoggiati apertamente dal Governo di Buenos Aires che li stanno distruggendo in cambio dello sfruttamento minerario operato da multinazionali che non vanno troppo per il sottile nell’uso di agenti chimici che hanno fatto incrementare le malattie proprio in queste etnie che ne sono risultate colpite, quando non dai manganelli o dalle pallottole delle polizie locali che in molti casi li hanno uccisi.
Ma un fatto ancora più eclatante è accaduto a Buenos Aires in questi giorni: la nomina a capo dell’Esercito del generale Milani. Nulla di strano se non fosse che il militare in questione è stato uno dei più feroci repressori della decada militare a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, proprio quel regime che il kirchnerismo ha sempre detto di aver combattuto, anche se poi si è capito solo con la distorsione mediatica dei ruoli della coppia presidenziale in quegli anni. Chissà che faccia faranno Hebe de Bonafini (la Presidente delle Madri di plaza de Mayo che adesso è diventata una fervente devota del cattolicesimo dopo aver usato espressioni di una gravità inaudita all’elezione di Bergoglio) ed Estela de Carlotto, la Presidente delle nonne di Plaza de Mayo….Milani è citato addirittura nel “Nunca mas”, la relazione sulle torture dei militari durante il regime, per fatti avvenuti a Tucuman, dove operava.
I guai, però, si sa, non vengono mai soli ed ecco che scoppia il caso Jaime: l’ex ministro dei Trasporti implicato non solo nella strage avvenuta nell’incidente ferroviario della stazione Once due anni fa, ma pure in un caso di acquisto di aerei Embraer da parte della Compagnia di Stato Aerolineas Argentinas. Il giudice Binadio, dopo aver effettuato le indagini, ne ha disposto l’arresto, ma l’ex Ministro era già uccel di bosco in Brasile.
Altro cardine del kirchnerismo è stata la nazionalizzazione delle imprese, specie di quelle energetiche. In particolare, il fiore all’occhiello è stata la rinazionalizzazione della petrolifera YPF, che è stata espropriata ai legittimi proprietari della Spagnola Repsol che l’avevano acquisita in modo non del tutto lecito durante l’arco della Presidenza Menem negli anni Novanta. Festa grande per la mossa, che è stata gridata ai quattro venti come la riappropriazione del patrimonio energetico del Paese. Piccolo particolare: si è scoperto che YPF era, credo, l’unica impresa petrolifera in perdita perché Repsol, prevedendo la mossa del Governo kirchnerista, aveva smesso da anni di effettuare ricerche sul territorio e quindi allo Stato sono mancati i fondi per poterle effettuare, dato l’altissimo costo che comporta il mantenimento dell’apparato statale che soffoca come una piovra l’economia argentina. Et voilà, ecco che in questi giorni è stato firmato un contratto con l’americana Chevron che permetterà a quest’ultima di fare sì investimenti per la ricerca nel Paese, ma pure, contravvenendo alle leggi valutarie, di esportare i suoi guadagni in dollari….
Pare incredibile, ma l’entourage presidenziale è entusiasta di questa operazione che in pratica contraddice in maniera clamorosa le politiche di più di un decennio di potere politico. Chissà cosa penseranno i giovani della Campora, l’organizzazione oltranzista della gioventù kirchnerista. Ma forse a loro è stato detto che il tutto rientra in una logica non solo nazionalista, ma addirittura anticapitalista, dato che l’impresa petrolifera con cui è stato firmato l’accordo è l’esatto anagramma di due miti del nazionalismo Argentino CHE (Guevara) V (di Victoria) e RON, ultime tre lettere della parola PeRON…chissà come i due personaggi si rivolteranno nelle rispettive tombe…
E per finire chissà quali parole userà papa Francesco nelle sue omelie brasiliane rivolgendosi alla sua Argentina, Paese in cui il potere lo ha disprezzato per anni, ma che lui, molto cristianamente, non solo ha perdonato ma pure aiutato. Basti pensare che la Compagnia Aerolineas Argentinas che, nelle mani ormai della Campora, ha inanellato una serie di deficit colossali mai dichiarati nel Paese di appartenenza (il bilancio del 2011 si chiuse con perdite di 450 milioni di euro). La sola rotta a Roma ha perso nei primi mesi del 2012 95 milioni di euro: ma quest’anno, a causa dell’elezione di Bergoglio, è praticamente impossibile trovare un posto sul volo. Che dire… ego te absolvo!