Oggi, in Israele, si tengono le elezioni per eleggere i due nuovi Rabbini capo del Paese. 150 grandi elettori (rabbini, giudici di tribunali rabbinici, ministri e deputati) riuniti in un albergo di Gerusalemme esprimeranno le proprie preferenze, avendo a disposizione due schede ciascuno, per deliberare il responso entro, si presume, la serata. I due capi della comunità religiosa ebraica saranno un sefardita, espressione degli ebrei provenienti dal mondo arabo, e un ashkenazita, rappresentante degli ebrei occidentali e dell’Europa dell’Est. Nella competizione non sono stati risparmiati pesanti invettive anti arabe, veleni e colpi bassi (alcuni candidati si sono scambiati insulti come: “scellerato” o “incarnazione del male”), mentre i cittadini israeliani reputano l’istituto, ideato ai tempi del mandato britannico, anacronistico, così come la distinzione duale, frutto non tanto di effettive determinazioni etnico-culturali quanto del sedimentarsi di rapporti di natura sovente economica e politica. Sono sette, in particolare, i candidati. Tra gli ashkenaziti, se la giocheranno David Lau considerato più aperto e David Stav, più conservatore. Tra i sefarditi, la gara è tra l’erede di Ovadia Yossef (capo del partito Shas e di un impero politico), Yitzhak Yossef, Zion Buaron e Shmuel Eliahu.