Due carceri irachene, quelle di Abu Ghraib e Taji, sono state prese d’assalto da gruppi di terroristi islamici che hanno liberato “tra le 500 e le mille persone”, molte delle quali appartenenti ad Al Qaeda. Le vittime degli scontri sono almeno 40; sei gli attentatori che si sono fatti saltare in aria ai cancelli delle carceri. Per Gian Micalessin, inviato di guerra del Giornale “siamo tornati alla pericolosa situazione che si era creata nel 2004”.
Cosa faranno adesso: andranno a combattere in Siria?
C’è il rischio che vadano a combattere in Siria ma c’è anche il rischio che restino in Iraq a destabilizzare ulteriormente la situazione, che oggi è molto simile a quella del 2004.
Com’era la situazione nel 2004?
Una situazione di scontro settario fra minoranze. Sostanzialmente, dopo il ritiro degli americani il Paese è ripiombato nella guerra civile, con lo scontro continuo tra fazioni sciite e sunnite. Quello che era stato promesso alle tribù dagli americani, ed era stato mantenuto fintantoché sono rimasti, è venuto a mancare una volta che gli americani si sono ritirati.
La situazione sembra peggiorata.
I sunniti, che con Saddam erano abituati a governare il paese, si sono ritrovati a essere minoranza, ora sottomessa, anche discriminata, perché la maggioranza di governo è sciita. In più per il controllo delle tribù i sunniti sono costretti ad allinearsi ad al Qaeda che ha più esperienza. A questo si è aggiunta la crisi siriana. Ormai il confine tra Siria e Iraq è un continuum in cui si alimenta la rinascita e la ricrescita del terrorismo islamico.
Quali sono i rischi maggiori?
Sostanzialmente, che il paese si spacchi e resti un nucleo centrale sciita, come quello che è attualmente al governo, e le altre minoranze arrivino alla rottura. Non dimentichiamoci che dopo le elezioni presidenziali non è mai stato trovato un accordo tra i vari gruppi. Questo è il vulnus che sottostà a questa situazione di scontro civile latente.
È stato attaccato il carcere di Abu Ghraib che in passato è stato teatro di spaventose atrocità.
Senza dubbio Abu Ghraib è il simbolo della repressione nei confronti dei sunniti e delle tribù che affiancano Al Qaeda.
In quella prigione erano rinchiusi combattenti del jihad che oggi sono liberi?
Che i militanti jihadisti siano capaci lo dimostrano i fatti della Siria. Sono gli stessi che combattono in Siria e in Iraq. Non a caso i gruppi jihadisti che combattono in Siria si chiamano Al Qaeda in Iraq-Siria. I migliori guerriglieri arrivano proprio dall’Iraq. Parliamo di militanti molto addestrati, che ormai hanno alle spalle dieci anni di esperienza di combattimento.
La tensione sta aumentando.
Lo scontro tra sunniti e sciti sottende tutti conflitti in corso oggi in Medio oriente. I principali attori che si stanno contendendo il controllo dell’area sono, da una parte, la grande potenza della Siria e, dall’altra, quella del Qatar e dell’Arabia Saudita. Sicuramente questa situazione è più evidente in quell’asse sciita che si estende dal Libano alla Siria, all’Iraq fino all’Iran. Ma era così anche nel 2004.