In Egitto è riesplosa la violenza. A differenza di due anni fa stavolta nel mirino ci sono i Fratelli musulmani, che non hanno alcuna intenzione di mollare il loro ruolo di protagonisti, e non mancano mai di mostrare gli effetti della forza di una delle più importanti organizzazioni islamiste internazionali.
Ma con il popolo egiziano non è bastato mostrarsi moderati, fingendo di non avere alcuna intenzione di costituire un’organizzazione su basi teocratiche. Può essere servito inizialmente a portare avanti un lungo e silenzioso lavoro di radicamento tra la gente con sempre maggiore penetrazione all’interno della società civile egiziana e mondiale, per poi esordire in politica con il partito “Giustizia e Libertà” e vincere le elezioni. La Fratellanza, una volta al potere, ha mostrato il suo vero volto, rendendo vita difficile ai copti e portando avanti un’opera moralizzatrice attraverso la diffusione del terrore e con il mantenimento di un costante clima di tensione, legittimati da una Costituzione messa a punto da un’assemblea a prevalenza islamica, che prevedeva evidenti violazioni ai diritti umani.
Non è un caso che gli episodi di vessazione, mandati d’arresto ed ordinanze di comparizione volti ad azzittire ogni forma di opposizione, soprattutto culturale, si sono moltiplicati a vista d’occhio, riuscendo così a fare della legge islamica il principale cardine dell’identità egiziana. A pagarne le spese, oltre ai copti, le donne e i sufi, mai adeguatamente tutelati. Una repressione divenuta inequivocabile quando Bassem Youssef, uno dei comici egiziani più noti, ricevette un mandato d’arresto perché accusato di aver insultato Morsi e di aver offeso la religione islamica. Nei suoi video, di impostazione chiaramente democratica, Youssef era sempre stato profondamente critico e tagliente nei confronti di tutti, Mubarak compreso. Tuttavia in molti tra gli estremisti islamici si erano lamentati di lui e della sua satira, soprattutto quella contro il radicalismo religioso, ma allo stesso tempo in altrettanti hanno aperto gli occhi ad un realtà che era tutto fuorché democratica.
Youssef ha avuto il merito di aprire le menti arabe e a distanza di due anni da quella primavera che destituì dal potere Mubarak, la maggior parte degli egiziani è stufa di Morsi e dei Fratelli musulmani, non gradendo più l’eccessivo impatto dell’islam politico nella vita del paese. Il movimento non si è mostrato in grado di gestire un paese arabo chiave, accecato forse dal potere e dalle manie di grandezza dei singoli, nonché dall’ambizione di creare un nuovo califfato.
Lo slogan “l’islam è la soluzione” non convince più. Il popolo è sceso per le strade del Cairo e si è riunito in piazza Tahrir, ancora una volta, per sostenere ed appoggiare l’esercito guidato da Abdel Fattah Al Sisi. Quell’esercito che, delegato dai moderati a combattere il terrorismo e per questo consapevole di avere in mano le sorti del paese, usa il pugno di ferro contro il fondamentalismo islamico, convinto che aver deposto Morsi non basta, e ora pretende l’arresto di tutta la dirigenza dei Fratelli musulmani.
L’Egitto è sull’orlo di una guerra civile e in questo contesto le strutture diplomatiche del Vecchio Continente hanno mostrato un certo immobilismo e distacco, o perché impegnate a far fronte ad una crisi economica che sta flagellando tutte le principali economie occidentali, oppure perché non disposte a fare un passo indietro su chi avevano sostenuto fino a pochi giorni fa, mal celando un velo di ambiguità. Nel frattempo il mondo arabo, in preda a tumulti continui, sta assistendo al fallimento di tutti i tentativi di imposizione di un islam politico, così evidentemente retrogrado e antiliberale.
Il popolo egiziano sta aprendo una stagione di libertà, una nuova primavera araba che, se non si trasformerà in una guerra sanguinosa, è destinata a propagarsi con un effetto domino nel resto di un mondo arabo stanco di chi vuole voltare le spalle alla modernità.