Al Cairo è mutata la marea. E ha invaso l’Egitto, riprendendosi la rivoluzione rubata. Un anno è passato da quando Mohamed Morsi arringava la “sua” piazza con parole di fuoco e con proclami che sapeva bene non avrebbe mai potuto mantenere. E da quel giorno il sintomo del malessere iniziava a covare. E chi legge queste pagine ne sa qualcosa. Crisi economica galoppante, debito astronomico, turismo in calo vertiginoso e aria pesante su tutte le libertà degli egiziani. Lo scrittore premio Nobel Najib Mahfuz, pur essendo morto ormai sette anni fa, aveva capito tutto da tempo e l’ostracismo che a lui venne riservato in vita è un chiaro esempio di come l’oscurità culturale e umana può distruggere anche le parole più vere. Quelle che vengono dall’anima.



In questi dodici lunghissimi mesi, l’elite governante targata Fratelli Musulmani ha saputo infliggere all’Egitto il colpo di grazia. Nessun provvedimento, nessuna soluzione, nessuna idea. Solo la via verso la teocrazia, nel ripetersi ossessivamente che “l’Islam è la soluzione”. Il popolo egiziano, che seppure spaccato a metà aveva detto sì a questo traballante tentativo di democrazia islamizzante oggi ha capito che forse i musulmani moderati potrebbero essere una delle soluzioni, ma i Fratelli Musulmani non saranno mai la soluzione. Il vuoto di potere che ha contrassegnato la brevissima, e speriamo praticamente terminata, “era Morsi” ha contribuito a chiarire la faccenda dell’Islam politico.



A un uomo che ha fame, a un bambino che piange perché l’ultimo latte che ha bevuto risale alla settimana precedente, non si può certo rispondere con un invito alla preghiera. Ho sempre sostenuto che la fame avrebbe abbattuto il tentativo della Fratellanza di prendere definitivamente il potere nel mondo arabo. Non avevo torto, evidentemente, ma oggi occorre aggiungere altre variabili. Una di queste è la comunicazione, che meglio di ogni altra cosa sa rendere l’antica abitudine della società egiziana alla libertà. Spesso totale, spesso condizionata. L’araldo di quella libertà è Bassem Youssef. Medico, intellettuale e conduttore televisivo che non perde occasione per trafiggere Morsi e i Fratelli Musulmani con gli strali della sua straordinaria satira. Un’icona, ecco cosa è oggi per il popolo egiziano Bassem Youssef.



Un’icona che è difficile da spezzare e che l’arresto e il rilascio a tempo di record, in cui Morsi ha sempre negato ogni genere di coinvolgimento, ne hanno fatto un eroe. Un eroe di libertà e di forza della parola. Morsi, del resto, ha fatto molto per attirare su di sé l’ira di quei quasi venti milioni in piazza domenica. È apparso ai più inesperto e non in grado di fronteggiare la gravissima crisi egiziana, che si trascina dal dopo Mubarak e che non ha trovato alcuna cura, nemmeno palliativa.

Il richiamo alla preghiera durante una conferenza stampa, la ritrosia verso ogni genere di pluralismo (di cui l’Egitto è portatore da sempre), la lontananza da ogni forma di dialogo, il tentativo di inquinare con l’estremismo anche le alte sfere dell’università di Al Azhar e infine i tentennamenti sul piano sociale. La protesta, con questi presupposti, non poteva che esplodere fragorosamente. Triplicando in pratica i numeri che Piazza Tahrir aveva fatto registrare nel 2011 e che ben presto erano divenuti numeri neri, fatti di barbe lunghe, niqab e coltelli.

E anche oggi coloro che rubarono la rivoluzione non si sono smentiti: il comitato centrale del Free Egyptian Party parla di molestie sessuali ai danni delle donne che manifestavano, così da farle allontanare. Un pullman pieno di islamisti armati fino ai denti diretti a Nasr City per regolare la faccenda a modo loro. Colpi di arma da fuoco a Giza sui manifestanti anti-Morsi e sette feriti a terra. La diaspora dal governo Morsi è ormai un fiume in piena. I militari hanno già dettato la road map e l’ultimatum sta per scadere: una volta scaduto, la Costituzione sarà sospesa e il governo sciolto. La paura fa capolino, il timore della piazza, ormai non più controllabile dai barbuti al soldo del radicalismo in giacca e cravatta, sta prendendo le menti e i cuori dell’elite di ferro dei Fratelli Musulmani. All’ex numero uno della Fratellanza, Medhdi Akef, è stata imposta la permanenza in Egitto, proprio a colui che diceva: “Vi conquisteremo con la vostra democrazia”. Si mormora che i Fratelli Musulmani possano trovare l’inizio della loro fine politica proprio laddove, nel 1928, nacquero come movimento.

Il popolo egiziano non ha paura. L’Europa sì. E tace clamorosamente di fronte a un popolo pacifico che chiede libertà e diritti. Senza armi, ma solo con le parole e con gli slogan. Quando si trattò di far cadere Mubarak, Gheddafi e Ben Alì la voce si alzò forte e chiara e lasciò in fretta spazio alle armi, così da agevolare l’arrivo della Fratellanza. E le tv che allora ridevano alle denunce di quello che oggi vediamo, sono mute. Forse perché è difficile mettere la toppa a una magagna tanto grande.

Mai come oggi striscia il sospetto del tradimento dell’Europa, serva obbediente del gigante americano alleato dei burattinai del Golfo. I manifesti per la libertà, che si vedono campeggiare nelle città egiziane, rimarranno affissi sui muri della storia. Le parole di Obama, che rassicura Morsi sulla sua sopravvivenza politica al governo, sono lo specchio di questo sospetto. 

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