Come intendono le questioni bioetiche i giapponesi e, in particolare, che concezione hanno della vita? Lo spiega Roberto Dal Bosco in un breve saggio pubblicato su Prolifenews.it. Bisogna,anzitutto, partire da una circostanza fondamentale: qui, il cristianesimo non ha mai attecchito. Anzi, è stato proprio cacciato via. In particolare, tra il XVI e il XVII secolo, lo Shogun rispose all’evangelizzazione di San Francesco Saverio con uccisioni, torture, crocifissioni, roghi, stragi di missionari e di convertiti, anche bambini. Insomma, «privato del senso della persona umana che solo il cristianesimo poteva fornire, si trovò dunque a crescere tra il buddismo – specie nelle sue versioni apocalittiche e nichiliste – e il paganesimo scintoista autoctono, il tutto subordinato alle strutture morali della rigida società giapponese e dello stato». A tutto questo, si aggiungono i presupposti del confucianesimo nonché svariati articolazioni antropologiche, quali il concetto di un debito contratto da ciascun nato al momento della nascita nei confronti dell’imperatore (ritenuto una sorta di semidivinità). Ecco, tutto ciò ha fatto sì che, nel primo dopoguerra, si consumasse una tra le statistiche più tetre della storia: per ogni bambino nato, un altro veniva ucciso. Ad oggi, «la fertility ratio del Giappone – libero e capitalista – è inferiore a quella della Cina – totalitaria e comunista – dove pure vige la politica del figlio unico. Pazzesco, fuori da ogni logica: nel lustro 1995-2000 Cina batte Giappone 1.8 a 1.4. Sul concreto, il Giappone è più vicino alla politica del figlio unico cinese che non la Cina stessa».



Leggi anche

Toyota rallenta la produzione di auto elettriche/ "Tagli del 30% rispetto alle previsioni iniziali"Delfini attaccano bagnanti in Giappone/ “Potrebbero essere stati spinti da impulsi sessuali”