E’ stata una tragedia di tali proporzioni, che la sua descrizione la si può trovare anche in una apposita pagina di Wikipedia a essa dedicata. Il crollo di un edificio di otto piani a Savar, il Rana Plaza, lo scorso 24 aprile, nei suburbi di Dhaka, capitale del Bangladesh, viene ricordato come uno dei maggiori disastri che ha colpito i lavoratori impiegati nelle fabbriche di indumenti, ma anche uno dei maggiori di sempre. Il numero totale delle persone morte sotto alle macerie è stato di 1129, con circa 2500 feriti. Nel disastro, anche il caso di una donna trovata viva dopo diciassette giorni sotto alle macerie.
Disastri di questo tipo purtroppo sono abbastanza comuni nei paesi del cosiddetto terzo mondo, dove le condizioni di sicurezza sul lavoro sono praticamente inesistenti. Nel palazzo, oltre a una fabbrica di indumenti dove lavoravano prevalentemente donne, c’era anche una banca e altri negozi. La reale portata della tragedia però sta proprio qui: segni di cedimento erano stati individuati nel palazzo il giorno precedente al crollo, tanto che la banca e i negozi al piano terreno erano stati chiusi. Ai lavoratori della fabbrica di indumenti invece era stato detto di recarsi ugualmente al lavoro, pena la perdita di un mese di stipendio: in tutto, 5mila persone. Come sempre nei paesi del Terzo mondo, molti di essi lavoravano per ditte occidentali, tra cui Benetton e Walmart.
Come detto, oltre la metà dei lavoratori che si trovavano nell’edificio era composta da donne: in Bangladesh ma non solo in questo tipo di fabbriche vengono impiegate soprattutto donne. Se non altro, la terribile tragedia ha imposto alle autorità del Bangladesh nuovi provvedimenti per migliorare le condizioni dei lavoratori, così come hanno fatto molte delle aziende occidentali che qui hanno loro stabilimenti. Ma è solo l’inizio vista la mole di lavoro che c’è da fare: è normale infatti che ragazzine di 12 anni in Bangladesh lavorino 400 ore al mese per una paga di appena 6 dollari.
Kaplona Akter è una di queste ragazze, oggi adulte, che ha dato vita a una coraggiosa iniziativa per migliorare le condizioni di lavoro di tante donne come lei, il Bangladesh Center for Worker Solidarity. Mentre riconosce che oggi rispetto ai suoi tempi le condizioni di lavoro sono minimamente migliorate (racconta che ai suoi tempi nelle fabbriche non esistevano uscite di sicurezza), la lotta è ancora lunga da sostenere, soprattutto per le donne. Nel 2010 lei e altre lavoratrici furono arrestate mentre manifestavano per chiedere migliori condizioni salariali, mentre nel 2012 uno dei loro responsabili venne addirittura assassinato.
Nonostante questo, spiega, le fabbriche di indumenti nel Bangladesh sono vitali per gli abitanti, in quanto offrono una delle poche occasioni di lavoro per milioni di persone e le loro famiglie. Dopo il disastro dello scorso aprile Akter chiede dunque che i cittadini occidentali non boicottino le aziende che si sono stabilite qui ma che aiutino a costruire condizioni di lavoro dignitose facendo pressione sui loro governi e sulle aziende stesse.