Una sentenza postuma, ma che farà discutere. La Corte d’appello inglese ha infatti sentenziato che Tony Nicklinson non aveva diritto di chiedere a un medico di porre fine alla sua vita. L’uomo, che nel 2005 aveva subito un infarto mentre si trovava per lavoro in Grecia, rimase del tutto paralizzato dal collo in giù. Chiese che gli venisse applicata l’eutanasia, che nel Regno Unito è illegale: quando gli venne rifiutata si lasciò morire di fame e di sete. Il caso aprì una battaglia per il cosiddetto “diritto di morire”: a lui si unirono altre persone nelle sue stesse condizioni, ad esempio Paul Lamb che dopo un incidente in macchina nel 1990 rimase completamente paralizzato anche lui. L’appello per il caso di Tony Nicklinson è stato portato avanti in questi anni dalla moglie, diventata aperta sostenitrice del diritto alla morte, ma l’appello le ha dato torto. Nella sentenza della corte viene specificato un passaggio importante: solo il parlamento può intervenire per cambiare la legge su questo tipo di casi. Non spetta dunque ai giudici pronunciarsi o prendere decisioni che possano favorire le richieste di morte assistita se il parlamento non cambierà la legge. Come in altri paesi la legge inglese attuale non è del tutto chiara: nello stesso giorno infatti una terza persona anch’essa completamente paralizzata ha visto riconosciuto il diritto ad essere accompagnato da personale medico in Svizzera dove chiede di essere accettato in un clinica per eutanasia, e questo senza che la sua famiglia voglia essere coinvolta nella sua richiesta di suicidio.