Per anni la Liberia, il piccolo stato africano che fu il primo lembo di Africa a ottenere l’indipendenza nel 1822, popolato da ex schiavi tornati dalle Americhe, è stata devastata da una sanguinosa guerra civile. Per ben due volte, per la maggior parte degli anni novanta e poi nei primi anni duemila, la Liberia fu devastata dalla guerra fratricida. Da una parte il repressivo presidente Samuel Doe; dall’altra le truppe rivoluzionarie di Charles Taylor. Nel 1997 il Fronte patriottico nazionale della Liberia riuscì a prendere il potere, ma due anni dopo soltanto la guerra civile era tornata. Solo nel 2003 si riuscì a ottenere un accordo di pace, ma la situazione è ancora assai complicata, con membri del governo e della presidenza coinvolti in quelle guerre e si cerca di costruire una riconciliazione che sembra impossibile, con quasi 250mila vittime dietro le spalle. In questo scenario, come purtroppo spesso accade nei conflitti africani, furono coinvolti a combattere molti bambini e ragazze giovanissime. Quelli che sono riusciti a sopravvivere alla guerra, portano ancora dentro di sé i segni di quella devastazione. Si calcola che circa 38mila bambini abbiano preso parte alla guerra civile come soldati o semplici aiutanti delle truppe e anche come schiavi del sesso per i soldati. Un qualcosa quasi impossibile da dimenticare. Adesso questa generazione è adulta e deve fare i conti con il proprio orrore. In un articolo pubblicato recentemente da Newsweek si racconta la storia di Maria, che all’età di 13 anni era il comandante di un gruppo combattente di sole ragazze, circa una trentina. La donna oggi ha aperto un bar dove vive con un bambino adottato dalla strada: il suo modo di fare e di agire ricorda ancora quello di un comandante militare, si legge. Ha due figli propri e un fidanzato ma non si è mai sposato perché, dice, lei ha combattuto la guerra e lei è l’uomo di famiglia. Nonostante gli aiuti internazionali abbiano cercato di creare soccorso per questi sventurati, le ragazze sono state quasi del tutto escluse dai piani di aiuto. La maggior parte di queste ragazze vive nelle periferie urbane e per sopravvivere si prostituisce. Il fatto che abbiano combattuto in guerra, fa vedere queste donne come qualcosa di depravato e non più femminile: nessuno le vuole sposare, nessuno le considera più, nessuno le assume a lavorare.