La realpolitik dell’Esercito e dei poteri forti dell’economia ha sconfitto l’ideologia dei Fratelli musulmani di Morsi in 365 giorni esatti. E’ questo il senso della parabola egiziana vista da piazza Tahrir, dove l’inviato de Ilsussidiario.net è stato testimone della folla che ieri ha festeggiato in delirio la destituzione del presidente Mohamed Morsi da parte dell’Esercito. I militari hanno annunciato che il loro ultimatum per una risoluzione politica della crisi è scaduto, che il presidente Morsi è destituito dai suoi poteri e che la Costituzione è sospesa. La folla, che da tre giorni riempie le strade del centro del Cairo, improvvisamente è esplosa in un boato, proseguendo per tutta la notte con balli, lanci di fuochi artificiali e catene umane che hanno intasato tutte le strade per chilometri. Apparentemente un fenomeno di popolo che ben poco ha a che fare con gli ordini impartiti dal segreto della stanza dei bottoni, anche se in realtà la politica egiziana è molto più complicata di come la descriva la tv italiana.
Sono due gli schieramenti in gioco in quello che assume tutti i connotati di un golpe militare.
Da un lato c’è un partito, Libertà e Giustizia, nato da un movimento islamista fortemente ideologico, i Fratelli musulmani. Questi ultimi si basano sull’identificazione tra religione e politica e su una solidarietà musulmana che ha portato alla creazione di ospedali e opere benefiche in tutto l’Egitto. Se vogliamo fare un paragone con una realtà molto diversa, è come il vecchio Partito comunista in Europa, che era bravissimo quando si trattava di fare il pieno dei consensi tra le fasce meno benestanti della popolazione, ma una vera calamità per i Paesi dove conquistava il potere. E’ esattamente quanto è successo a Morsi, la cui vittoria alle elezioni presidenziali di un anno fa è stata la sua rovina, perché il presidente si è trovato ad avere a che fare con problemi come il turismo che sta andando a picco, i distributori rimasti senza benzina e la disoccupazione in crescita. Difficile, anzi impossibile risolvere tutti questi problemi appellandosi soltanto al Corano e senza avere un minimo di esperienza politica.
Dall’altra ci sono l’Esercito e i poteri forti dell’economia che vedono come il fumo negli occhi un presidente conservatore quale Morsi, che di certo non ha favorito lo sviluppo del Paese. Ieri i generali sono tornati a giocare un ruolo decisivo nella vita politica egiziana, come era avvenuto nel febbraio 2011 quando i militari si schierarono a favore dei manifestanti intimando di fatto a Mubarak di lasciare il suo ruolo di presidente. Anche questa volta, l’ultimatum del generale Abdul Fatah El-Sisy, numero uno delle forze armate in Egitto, ha portato alla destituzione di Morsi.
Insieme all’Esercito ci sono gli imprenditori, che possiedono i quotidiani più prestigiosi del Paese. Questi ultimi hanno condotto una campagna mediatica anti-Morsi decisamente battagliera, al punto da lasciare perplessi di fronte a chi afferma che il presidente egiziano sarebbe un dittatore. Difficilmente i dittatori hanno vita così difficile con la stampa come l’ha avuta il leader dei Fratelli musulmani. Per quanto incapace e fallimentare, Morsi è diventato presidente attraverso elezioni regolari e democratiche, ed è stato destituito dall’Esercito. Risulta anomalo parlare di rivoluzione di fronte a uno scenario come questo.
L’elemento più inspiegabile di quanto è avvenuto negli ultimi tre giorni è senza dubbio il popolo egiziano. Esasperata da un anno nero, segnata da povertà e instabilità politica, la gente è scesa a protestare per 72 ore di seguito con manifestazioni imponenti in tutto il Paese. L’inviato de Ilsussidiario.net ha assistito di persona dal centro del Cairo, e a colpirlo è stata soprattutto l’impossibilità di qualsiasi definizione ideologica delle motivazioni della protesta. Ragazzi che ballano, genitori con in braccio i loro figli addormentati, donne con il velo integrale e teenager con la maglietta dei Metallica. Persino un asino portato dai manifestanti in corteo con la scritta in vernice rossa sulla fronte: “Erhal ya Morsi”, “Vattene Morsi”. La rivolta anti-Morsi è stato insomma un fenomeno di popolo che non può essere spiegato con interessi particolari o ragioni di partito.
Lo stesso popolo rischia ora di diventare la vera vittima del pericoloso braccio di ferro tra i Fratelli musulmani e i generali, che amano giocare con il fuoco sulla pelle della gente proclamandosene i liberatori. Solo ieri al Cairo sono morte 23 persone, e molte altre vittime si potrebbero contare nelle prossime ore.
(Pietro Vernizzi, inviato a Il Cairo)