Grande agitazione sul datagate (il furto, da parte di un dipendente dei servizi segreti americani, di dati riservati che riguardano non solo gli Usa ma anche il resto del mondo, tra cui gli alleati degli Stati Uniti). Ci sono indubbiamente severi aspetti di diritto penale, all’attenzione della magistrature competenti e degli Stati con i quali gli Usa hanno accordi. Tra tanto clamore cerchiamo di delineare cause, effetti e rimedi del “caso”.



Cause – La determinante è essenzialmente la tecnologia. In un bel libro di una ventina di anni fa, Luigi Fenizi ha dimostrato come il Novecento è stato il secolo “crudele” del terrore di massa (gulag, campi di concentramento, stermini) a ragione della tecnologia: per millenni, la crudeltà si è estrinsecata nei confronti di singoli individui, nel Novecento è stato possibile, con la tecnologia, estenderla a interi gruppi sociali o etnici. Analogamente, nel XXI secolo, la tecnologia – specialmente quella dell’informazione e della comunicazione – rende fattibile la fine della “privacy” o lo spionaggio di massa.



In passato, tutti gli Stati disponevano di servizi segreti, e di spie, che si arrabattavano come potevamo, spesso utilizzando i buchi delle serrature come loro strumento più avanzato. Oggi con l’Ict si può monitorare tutto. Ci sono Stati particolarmente ben organizzati nell’Intelligence (specialmente gli Stati Uniti dopo Pearl Harbour), altri meno. In Europa, il Cambridge Circus britannico e le Deuxième Bureau francese hanno una buona reputazione di efficienza ed efficacia, mentre i servizi italiani e spagnoli ne hanno, a torto o a ragione, una pessima – in particolare in materia di impiego delle tecnologie. Non ci si deve sorprendere che gli alleati si spiino l’un l’altro; lo si è sempre fatto da che mondo e mondo – così come mogli e mariti sospettosi hanno sempre spiato i comportamenti dei coniugi.



Effetti – ndubbiamente grave il comportamento della “spia infedele” che minaccia di diffondere a mezzo mondo (a suo dire, a fin di bene) i dettagli del suo lavoro. Tuttavia, le implicazioni del datagate vanno drasticamente ridimensionate. Negli anni Settanta, in America, fece scalpore il fatto che, segretamente, alla Casa Bianca si registrassero (senza che gli interlocutori lo sapessero) tutte le conversazioni del Presidente Nixon (il quale intendeva utilizzare i nastri per una sua autobiografia). I nastri diventarono elemento determinate del “caso Watergate” perché si pensava di ottenere da essi la prova che Nixon era al corrente dell’incursione fraudolenta negli uffici del comitato elettorale del suo avversario e che, quindi, avesse mentito al Congresso degli Stati Uniti e al popolo americano.

Si trattava, in essenza, di poche conversazioni. Oggi gli ascoltatori/spie vengono travolti da miriadi di conversazioni e spezzoni di conversazioni. È molto difficile che sappiano individuare quelle a loro utili ai fini del loro mandato. Molto più insidioso – ma nessuno ne parla – lo spionaggio industriale, ben mirato alla ricerca di innovazioni che possono essere brevettate. Le nuove tecnologie consentono non solo un approccio di massa, ma soprattutto una migliore definizione di obiettivi e traguardi.

Rimedi – A un problema tecnologico si rimedia, in primo luogo, con strumenti tecnologici. Chi tratta di questioni delicate dovrebbe conversare con i propri interlocutori al riparo di filtri e schermi. I ficcanaso si stancherebbero di ascoltare liti di condominio, questioni di letto e simili. Necessari, poi, sia un maggiore e migliore addestramento dei “servizi”, sia una più attenta vigilanza degli organi (politici, giudiziari, parlamentari) sui loro obiettivi e strumenti. Non risolverebbero il problema, ma ne ridurrebbero l’entità.