Gli avvenimenti si succedono velocissimi nell’Egitto del post Morsi, anche se l’incertezza sul futuro è grande. Si riuscirà a mantenere un livello di pacificazione in questo momento di transizione che dovrebbe portare verso nuove elezioni? I militari proprio ieri hanno sciolto il Parlamento, mentre i sostenitori di Morsi scendevano in piazza e purtroppo si verificavano incidenti e morti. Ci sono però fatti del tutto nuovi e significativi che fanno capolino in questa seconda rivoluzione egiziana nel giro di meno di tre anni, come ci spiega il professor Camille Eid: “Per la prima volta in Egitto il capo della chiesa copta è stato invitato a prendere parte alle riunioni che hanno portato alla destituzione di Morsi, riunioni con tutti i rappresentanti delle opposizioni per immaginare il futuro del paese. E per la prima volta lo si è visto presente anche in televisione mentre il responsabile dell’esercito dava l’annuncio della destituzione di Morsi. E’ il segno che per la prima volta in Egitto la Chiesa è uno dei soggetti nazionali e non più espressione di una minoranza lasciata nell’angolo”.
Sappiamo che i cristiani egiziani, sia copti che cattolici, hanno preso parte alle manifestazioni contro Morsi. Sappiamo anche che la chiesa in Egitto è stata spesso vittima di violenze, anche in queste ultime ore si registrano episodi del genere a Luxor. Cristiani protagonisti dunque: quali rischi corrono e cosa significa un cristianesimo impegnato in prima linea.
Anche durante la prima rivoluzione, quella contro Mubarak del 25 gennaio di due anni fa, i cristiani contrariamente alle indicazioni date dalla Chiesa copta erano scesi in strada per prendere parte a quella rivoluzione. In seguito agli eventi la gerarchia ha poi appoggiato questa partecipazione.
Questa volta invece?
Anche questa volta la gerarchia della Chiesa copta non ha dato indicazioni precise, ma abbiamo notato una cosa molto significativa. Quale? La presenza di papa Tawaros II agli incontri con i generali e le altre personalità durante le riunioni preparative alla destituzione di Morsi e la sua presenza anche durante la lettura televisiva del comunicato che annunciava la fine della presidenza Morsi. Con questa sua presenza egli dava direttamente una approvazione del provvedimento dell’esercito, provvedimento che assecondava la richiesta di una buona parte della popolazione. Ma non solo.
Che cosa altro?
Che la Chiesa era dunque presente in questo grande cambiamento e che i responsabili dell’esercito nell’indicare le presenze ufficiali che hanno rappresentato la vittoria dell’opposizione, hanno tenuto conto della componente cristiana.
E’ un auspicio dunque per la nascita di una grande coalizione che metta insieme per la prima volta cristiani e islamici per la rinascita dell’Egitto?
Assolutamente, ce lo auguriamo perché nel già nel governo di transizione ci dovranno essere dei cristiani. Già durante il regime di Mubarak un paio di cristiani seppur non con dicasteri importanti, erano nel governo, e lo stesso si è verificato con Morsi che durante la sua presidenza ha cercato di nominare dei consiglieri cristiani. Ma questa volta sarà di più perché il contributo dei cristiani venga finalmente riconosciuto con una percentuale corrispondente al loro peso demografico e non come è stato finora.
Il fallimento di Morsi sembra sottolineare una cosa, il fallimento del tentativo islamico di instaurare governi realmente democratici. E’ un problema di natura culturale legato all’islamismo?
E’ una regola generale che ha trovato conferma in Egitto, non in Turchia dove al momento il partito islamico è al governo da circa quindici anni.
Che regola intende?
Quando un partito politico si presenta in nome della religione come hanno fatto i Fratelli musulmani e dice che l’islam è la soluzione e poi quando è al potere l’islam dimostra di non essere in grado di offrire una soluzione a tutti i problemi, da quelli economici a quelli sociali il primo a essere denunciato è la religione. Questo abbinamento mette in cattiva luce l’islam: in Egitto il popolo ci ha messo un anno per capire questo, guardiamo al calo assoluto di popolarità del partito dei Fratelli musulmani, proprio perché hanno preso il potere.
Insomma: capaci di criticare ma non di governare?
La forza dei Fratelli musulmani per decenni è stata quella di dire che il socialismo non funziona, poi che il nasserismo non funziona. Che bisogna tornare all’islam al governo perché fornisce la chiave di soluzione ai problemi, Ma era un miraggio dietro al quale correva il popolo egiziano. Poi quando si sono dimostrati inadatti a governare la gente si è resa conto del miraggio.
Quale è stato il maggior errore di Morsi, mettere mano alla costituzione?
Diversi errori, ad esempio aver avuto diversi bracci di ferro quando nei primi mesi adottava certe misure poi veniva fermato dalla corte costituzionale e faceva marcia indietro. Passi sbagliati e ritirandosi da questi stessi passi ha dato prova che non era esperto di governo. Che poi non governava lui ma la guida suprema della fratellanza musulmana, quelli che poi sono stati arrestati dai militari in questi giorni. Non era esperto di politiche tanto da gestire un paese così importante come l’Egitto.
La banca americana Merrill Lynch ha detto che nel giro di sei mesi l’Egitto rischia di crollare dal punto di vista economico.
Infatti. Con tutto il rispetto per la questione democratica e sapendo che l’esercito continuerà a giocare un ruolo fondamentale in Egitto la questione economica è ancora più importante. Prima infatti di pensare alla libertà di espressione una persona deve pensare a mangiare. Il popolo egiziano sta cominciando a soffrire la fame. Sembra che paesi del golfo come l’Arabia Saudita e gli Emirati vogliano dare sostegno economico al nuovo governo di transizione. Ma poi bisognerà vedere chi vincerà le prossime elezioni: torneranno i Fratelli musulmani più forti che mai con la determinazione a far fuori tutte le opposizioni, oppure l’opposizione attuale riuscirà a fare un governo che rappresenti le forze al suo interno e non dunque una nuova forza islamista al potere? Una boccata di ossigeno gli Emirati l’hanno già data in questi gironi fornendo gasolio all’Egitto che non ne aveva più.
Si può sperare che, davanti al fallimento delle primavere arabe, l’Egitto diventi un laboratorio a cui possano guardare gli altri paesi per dar vita finalmente a un islam davvero democratico?
E’ chiaro che il primo paese che viene in mente è la Tunisia. Due anni fa fu la Tunisia a essere da esempio all’Egitto, adesso è l’Egitto che potrebbe fornire l’esempio alla Tunisia. Qui abbiamo un partito islamico che non è al potere da solo ma in colazione. Finché non ci sono desideri di egemonia totale da parte degli islamici si potrebbe riuscire a lavorare a una democrazia. In Siria è completamente diverso, lì c’è una guerra in atto e non siamo nemmeno arrivati alla eliminazione della dittatura. Ma è interessante che i fratelli musulmani siriani ma anche giordani abbiano criticato Morsi: parlate di democrazia e poi quando arriva un islamico al potere nel giro di un anno vi fate cacciare?
Per concludere, quali speranze?
Bisogna aspettare: l’Egitto è sulla buona strada. Si sono liberati di una dittatura non per instaurare un’altra dittatura islamica ma una democrazia diciamo in “salsa” islamica. Personalmente ho fiducia in Emma Bonino che conosce molto bene il mondo arabo e potrà far leva sui governi europei per ottenere un reale sostegno al futuro dell’Egitto democratico.
(Paolo Vites)