La vicenda è emersa in modalità e tempi in cui non sarebbe dovuta emergere. Anzi, sarebbe dovuta rimanere segreta del tutto. Probabilmente, chi sta dietro all’espulsione della moglie e della figlia del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, e alla loro consegna alle autorità di Astana, credeva di operare nell’ombra. Ma qualcosa è andato storto e la vicenda ha rivelato intrecci affaristici e interessi ben noti a chi bazzica certi ambienti ma del tutto sconosciuti all’opinione pubblica. Che, ora, vuol giustamente capire cosa sta succedendo. Tanto più che, ieri, è circolata la notizia – immediatamente smentita dalla autorità francesi – che Ablyazov sia stato arrestato a Cannes. Abbiamo approfondito la questione con Marco Cobianchi, giornalista economico.
Lei che idea si è fatto?
Non è un mistero che, spesso, i colossi aziendali operino nei Paesi del mondo secondo forme extragiuridiche e che lo facciano anche per tutelare gli interessi nazionali. E’ anche noto che l’Italia sia tra i primi importatori di energia dal del Kazakistan, così come lo è presenta dell’Eni nel Paese. Non credo, tuttavia che siano state queste le determinanti di quanto accaduto. Certo, possiamo sospettare legittimamente che la moglie e la figlia di Ablyazov, e Ablyazov stesso, siano stati “venduti” al presidente Nazarbaev, eletto con procedure non limpidissime. Ma non ne abbiamo le prove.
Ablyazov, ai tempi in cui era presidente della Bta, la banca più importante del Kazakistan, si rese artefice di un buco da dieci miliardi di euro, frutto di una truffa colossale. Ora, molti istituti creditori della Bta, tra cui diversi italiani, gli stanno dando la caccia. Tale circostanza può essere alla base della vicenda?
Possiamo, anche in tal caso, solo sospettarlo. Se gli interessi in ballo della banche siano stati decisivi, lo scopriremo solamente quando tali interessi verranno a scadenza. Anzi, anche a quel punto, quando gli attori in gioco avranno riscosso quanto gli è dovuto, non disporremo ancora della prova necessaria.
Quindi?
Quel che è certo, è che è indubbio che vi possano essere degli interessi in gioco. Tuttavia, finora l’unica evidenza consiste nel fatto che se il nostro Paese afferma che un rifugiato politico ha il diritto di risiedere sul nostro territorio, ha pure il dovere di garantirgli la sicurezza. Invece, dalla vicenda è emerso come l’Italia sia tanto la patria del diritto quanto dell’incapacità di garantirlo. Del resto, siamo il Paese della proliferazione della leggi e dell’incapacità di applicarla.
Considerando gli elementi a disposizione, quale potrebbe essere, verosimilmente, la ragione di quanto accaduto?
Mi sono fatto l’idea che, per lo più, sia stata originata dal classico intreccio burocratico-amministrativo foriero di disastri. Quando un magistrato firma l’espulsione di una donna e di una bambina di sei anni in virtù del fatto che i documenti e le carte lo giustificherebbero, siamo di fronte ad una burocrazia cieca, che non si cura minimamente se le carte abbiano una qualche attinenza con la realtà. Non è un caso, infatti, che le autorità ritennero che nel passaporto della donna fosse contenuto un cognome falso, dato che non c’era scritto Ablyazov, bensì il suo cognome da nubile.
(Paolo Nessi)