“L’obiettivo dei gruppi terroristici che ieri hanno colpito a Quetta e Islamabad e hanno costretto gli Stati Uniti a chiudere il loro consolato a Lahore è quello di minare dalle fondamenta la stabilità del Pakistan, in quanto solo il caos può permettere di realizzare i loro piani”. Lo afferma Paul Bhatti, fratello del ministro cristiano Shahbaz Bhatti ucciso da un commando terrorista due anni fa. Ieri il sangue è tornato a scorrere nel Paese nel giorno sacro per l’Islam dell’Eid al Fitr che segna la fine del Ramadan. A Quetta in particolare dieci persone sono rimaste uccise per un attentato durante la preghiera nella moschea sciita.
Paul Bhatti, che cosa sta avvenendo in Pakistan?
In questo momento sono in corso una serie di attacchi e minacce terroristiche. Il Pakistan è assediato da alcune bande religiose, le quali vedono come un pericolo la stabilità del Paese, in quanto quest’ultima mette a repentaglio i loro piani basati su un’ideologia violenta ed estremista. I terroristi ritengono che le forze dell’ordine stiano difendendo gli interessi degli occidentali e in particolare degli americani. Vogliono dunque uccidere chiunque collabori con gli Stati Uniti.
Qual è il significato di quanto è avvenuto a Quetta?
Ieri mattina durante la preghiera nella moschea sciita di Quetta un gruppo di persone ha aperto il fuoco contro i fedeli. Il bilancio è stato di dieci vittime e 16 feriti. Ad agire è stato un gruppo sunnita che da tempo predica contro gli sciiti, la maggioranza dei quali proviene dal Belucistan. Non si è trattato però dell’unico attentato terroristico messo in atto ieri, approfittando dell’Eid al Fitr, giornata conclusiva del Ramadan, per turbare la situazione di pace e di stabilità politica nel Paese.
Per quale motivo i terroristi hanno colpito proprio un luogo di culto?
Quanto è avvenuto fa parte delle tensioni tra sunniti e sciiti, ma non si è trattato dell’unico episodio di questo tipo. Un altro attacco è stato lanciato contro una moschea a Islamabad. Un kamikaze stava per entrare nella moschea quando è stato ucciso da una delle guardie del corpo, e il giubbotto che indossava il terrorista non è esploso. Prima però di perdere la vita, l’attentatore è riuscito a uccidere una guardia, mentre altre due persone sono rimaste ferite. A Lahore è stato invece evacuato il consolato statunitense in seguito a gravi minacce di un attentato.
Qual è il clima nel Paese in questo momento?
In Pakistan c’è grande preoccupazione e i leader del governo intendono rispondere con una guerra contro i talebani, i quali stanno distruggendo la stabilità del Paese. La giornata di festa dell’Eid al Fitr, celebrata dai musulmani di tutto il mondo, è stata profondamente turbata da questi attacchi che l’hanno bagnata con il sangue di persone innocenti.
Quanto è avvenuto in Pakistan ha a che vedere con l’allarme terrorismo diffuso nei giorni scorsi dagli Stati Uniti in tutto il mondo?
In questo momento è difficile dirlo. Di certo, più che con quanto sta avvenendo nel lontano Yemen, gli attentati sono collegati a elementi più vicini. Il governo pakistano intende promuovere un dialogo pacifico con Nuova Delhi. I fondamentalisti non vogliono però che ciò avvenga, e attraverso gli attentati tentano di bloccare la normalizzazione delle relazioni bilaterali. Azioni violente sono avvenute alla frontiera con l’India, la quale ha protestato in modo ufficiale. Sempre ieri un gruppo di attivisti indiani del partito del Congresso hanno bloccato un autobus tra Delhi e Lahore per protestare contro quanto era avvenuto.
Tutto ciò è collegato con l’evasione di numerosi talebani dalla prigione pakistana di Khan?
Non lo escludo, anche perché l’evasione ha creato molta tensione nel Paese, in quanto le agenzie avevano già scritto che ciò avrebbe potuto accadere. Il fatto che un gruppo armato sia stato in grado di assaltare il carcere e di fare evadere 243 prigionieri, aggirando un check point della polizia, è un fatto senza precedenti. Ciò pone dei seri interrogativi. Non si capisce infatti se i terroristi siano così potenti che le forze dell’ordine non siano in grado di fermarli, o se qualcuno abbia collaborato all’evasione.
(Pietro Vernizzi)