Che il potere logori è una affermazione che hanno commentato in molti, a cominciare dal Machiavelli. Ma che porti a non ammettere una disfatta così rotonda si pensava un fatto figlio della politica italiana dove, il giorno dopo le elezioni, tutti avevano vinto. Questo modello a quanto pare è una delle poche cose che riusciamo a esportare, pure in tempi di crisi, almeno in Argentina, dove i risultati delle primarie hanno evidenziato uno dei pochi eventi degni della parola democrazia di questo travagliato Paese. L’Argentina si è svegliata e il kirchnerismo è giunto al capolinea. La sconfitta è stata bruciante, ancor di più perché non riconosciuta, a dimostrazione, qualora ce ne fosse bisogno, di quanto il potere che da più di dieci anni governa il Paese sia cieco: non c’è città del Paese dove il Fpv (Frente para la victoria), il partito kirchnerista, non sia uscito sconfitto.
Solo nelle roccaforti del kirchnerismo, ossia quelle regioni dove il Fpv ha il controllo assoluto, si sono registrate vittorie che lo portano a essere ancora il primo partito del Paese, ma solo con un 25% dei voti…il restante 75% è andato a candidati dell’opposizione. Divisa in vari partiti, ma pare ormai sulla strada di un’unità che, a differenza del 2009 dove una simile sconfitta venne neutralizzata da divisioni interne, possa scrivere la parola fine su un regime che di nazionale e popolare ha avuto ben poco.
A nulla è servito quindi l’apparato della nomenklatura governativa che, in barba a ogni regolamento, aveva protratto la campagna elettorale fino all’ultimo, sfruttando in maniera poco ortodossa qualsiasi appiglio: dall’attaccarsi alle sottane pontificie con foto in cui il candidato kirchnerista Insurralde veniva immortalato in una stretta di mano con papa Francesco a Rio fino all’inserimento nei giornali legati al Governo di supplementi di propaganda elettorale abilmente camuffata.
Le primarie di domenica dovevano scegliere i candidati per ogni formazione politica che in ottobre si presenterà alle elezioni per la composizione di Camera e Senato. A Buenos Aires si sono imposti con il 32% e il 35% Pino Solanas e Elisa Carriò del fronte Unen, rispettivamente nello scrutinio per il Senato e la Camera dei deputati, seguiti dai candidati del Pro (il partito di Maurizio Macri) Sergio Bergman e Gabriela Michetti con il 31% e il 27%. Al terzo posto vengono relegati i candidati del Fpv Daniel Filmus e Juan Cabadiè con il 19% dei voti.
Ma la musica non cambia nemmeno nel resto del Paese nella provincia di Buenos Aires il prefetto del quartiere del Tigre Sergio Massa si è imposto sul candidato kirchenrista, il già nominato Insurralde, di ben 5 punti percentuali; lo stesso dicasi nelle principali città del Paese, da Rosario (dove ha vinto il socialista Binner) a Mendoza, dove ha trionfato il radicale Cobos. Curiosamente pure nella capitale del kirchnerismo, la provincia patagonica di Santa Cruz, il candidato radicale Costa si è imposto con un rotondo 44% sul kirchenrista Mauricio Gomez Bull con il 22%. Stessa musica pure a Cordoba dove il Fpv si classifica quarto dopo l’Alianza Union por Cordoba con il 30%, il Partito radicale con il 22% e il Pro con il 12,3%.
Certo di strada da fare ce n’è ancora tanta, dato che, come ripetiamo, si tratta di primarie che compongono le formazioni per partecipare alle elezioni di ottobre, ma non si vede come nel giro di un paio di mesi il verdetto possa cambiare, soprattutto in prospettiva pure delle prossime elezioni Presidenziali in programma per il 2015. Ma già la conferma di questo risultato, seguita da una definitiva unione dell’opposizione, significherebbe per il Fpv e la Presidente l’impossibilità di governare il Paese se non attraverso l’arma del decreto presidenziale che di fatto bypassa le decisioni di Camera e Senato.
È la fine di un’era r il ritorno, si spera, alla tanto agognata democrazia il cui travagliato cammino ha di fatto tagliato le enormi possibilità di una nazione così piena di ricchezze come l’Argentina, dove il benessere è stato ostacolato da oligarchie che ovviamente in nome del popolo hanno imposto dittature in un Paese che, nell’arco della sua storia, ne ha avute abbastanza.
E fa piacere che, attraverso manifestazioni spontanee e una partecipazione di massa, proprio la gente comune abbia espresso questo desiderio di vivere la democrazia. Lo ha fatto muovendosi e partecipando, lezione che dovrebbe far riflettere un’Italia che invece di cambi radicali non ne sente il bisogno, preferendo legarsi ancora alle vecchie logiche politiche che di fatto non cambiano nulla.