“La scelta dell’Esercito di sgomberare i sit-in con la forza non è ciò di cui c’era bisogno, perché mette la parola fine a qualsiasi possibilità di un accordo politico su cui erano aperti ancora diversi spiragli”. Ne è convinto Cornelis Hulsman, esperto olandese di Medio Oriente che vive in Egitto dal 1964, nonché direttore del magazine Arab-West Report, che commenta così il terzo giorno di scontri in tutto il Paese: “Il problema dell’Egitto è la paura. Islamisti e non islamisti hanno entrambi delle buone ragioni per temersi a vicenda, purtroppo in queste ore l’odio e la paura stanno prevalendo su ogni altra considerazione”.
Che cosa si aspetta dopo le violenze degli ultimi tre giorni?
Il rischio è che l’Egitto ritorni indietro agli anni 1980 e 1990, quando gli islamisti mettevano in atto dei ripetuti attentati contro la polizia. La principale differenza rispetto ad allora è che oggi lo scontro non riguarda più solo la polizia ma anche l’Esercito.
I Fratelli musulmani sono stati attaccati in modo violento. Ritiene che difendersi anche con le armi sia un loro diritto?
Non nel modo in cui lo hanno fatto. Basta vedere la brutalità con cui a loro volta hanno assaltato la stazione di polizia di Kirdasa, dove agenti completamente indifesi sono stati circondati da una folla enorme di sostenitori dei Fratelli musulmani e uccisi senza pietà. Per non parlare del blindato della polizia che è stato spinto giù da un ponte provocando la morte di almeno cinque agenti al suo interno. La reazione dei Fratelli musulmani è stata scandalosa.
Gli attacchi contro le chiese copte fanno parte di questa reazione?
In molti sono convinti del fatto che dietro a questi attacchi ci siano i Fratelli musulmani. La ritengo una possibilità, ma non una certezza. Ovviamente nessuno degli attentatori ha rivendicato le azioni contro i cristiani, anche se ci sono degli ampi sospetti nei confronti del partito di Morsi. Ho chiesto ai leader dei Fratelli musulmani che conosco di persona che cosa ne pensano di quanto è avvenuto alle chiese, ma non sono riuscito ad avere nessuna risposta e temo che tutto ciò che mi avrebbero saputo dire è che si trattava di saccheggi di delinquenti comuni. In Egitto è sempre molto difficile scoprire la verità.
Per quale motivo l’Esercito non ha difeso le chiese?
Perché gli attacchi sono avvenuti in tutto il Paese, e i militari non erano preparati per questa eventualità. Sapevano che ci sarebbero stati dei disordini nella Capitale, ma il fatto che si siano verificati anche nelle aree rurali li ha colti di sorpresa.
Il fatto che gli islamisti siano giunti a bruciare delle chiese dimostra che con loro fin dall’inizio non era possibile alcun dialogo?
Non sono d’accordo. So che un negoziato con i Fratelli musulmani non sarebbe stato facile, ma continuo a pensare che ci fossero ancora diversi spiragli per una mediazione. Nei giorni precedenti allo sgombero di mercoledì, mi sono incontrato personalmente con numerosi dei loro leader e mi sono reso conto che un compromesso era ancora possibile.
Insomma lei non condivide il blitz ordinato dai generali?
Lo sgombero dei sit-in avviato dall’Esercito non è ciò di cui ha bisogno l’Egitto, dovrebbero esserci degli sforzi maggiori per trovare una soluzione politica con i Fratelli musulmani anziché spingerli ancora una volta nella clandestinità. La stessa scelta di ripristinare lo stato di emergenza ci riporta indietro agli anni di Mubarak.
Ritiene che la spaccatura della società egiziana tra Fratelli musulmani e liberali sia qualcosa di irrimediabile?
La società egiziana non è divisa tra Fratelli musulmani e liberali, ma tra islamisti e non islamisti. I non islamisti sono molto più numerosi dei liberali, e includono socialisti e altre tendenze politiche. I Fratelli musulmani sono l’unico movimento politico realmente organizzato, e negli ultimi 80 anni sono cresciuti, si sono rafforzati e hanno costruito una rete sotterranea cui aderiscono tra 500mila e 1 milione di membri. L’appartenenza ai Fratelli musulmani non è pubblica, e nessuno sa quindi i nomi degli aderenti che formano la base del movimento.
Per quale motivo gli egiziani non sono in grado di accettare le loro reciproche differenze?
Il motivo è la paura. I Fratelli musulmani temono che i non islamisti prendano il potere e non lascino alcuno spazio a chi non la pensa come loro, ma puntino invece a escluderli dalla società. I non islamisti pensano invece che i sostenitori di Morsi vogliano restringere ulteriormente qualsiasi spazio di libertà della società civile. Ciascuna delle due parti ha delle buone ragioni per temere l’altra.
(Pietro Vernizzi)