Non più i cieli, ma le rotaie. Secondo quanto riportato dal quotidiano tedesco Bild, Al Qaeda starebbe pianificando attacchi terroristici sui treni ad alta velocità europei. Non è ancora chiaro quali siano i Paesi coinvolti dalle minacce, ma sembra che le autorità tedesche che si occupano della sicurezza sulle linee ferroviarie siano in stato di allarme da oltre due settimane. La testata rivela anche che il movimento terroristico potrebbe agire sabotando le rotaie, le gallerie, o piazzando bombe direttamente sui convogli. La notizia sarebbe trapelata dalla Nsa, la National Security Agency americana ancora nella bufera per il caso intercettazioni, venuta a conoscenza di una telefonata tra due importanti membri di Al Qaeda. Ilsussidiario.net ha chiesto un commento a Stefano D’Ambruoso, ex pm antiterrorismo e deputato di Scelta Civica.
Quanto crede sia realistico questo allarme?
La notizia, diramata in termini di allerta dall’agenzia di sicurezza nazionale statunitense, è evidentemente fondata. E’ però opportuno, come sempre, distinguere tra l’attività di prevenzione e una situazione in cui l’attentato è effettivamente prossimo dall’essere realizzato.
Si spieghi meglio.
Solitamente l’attività di prevenzione si porta avanti attraverso questo tipo di monitoraggio, dalle intercettazioni fino alle microspie e agli agenti sotto copertura, con l’obiettivo di acquisire informazioni riguardo eventuali progetti di attentati. Questi ultimi, però, spesso non si avvicinano neanche dall’essere realizzati, anche se ovviamente ciò non toglie che il controllo debba comunque avvenire.
Come mai tra i maggiori obiettivi del terrorismo compaiono i treni ad alta velocità?
E’ da tempo che il treno è uno dei possibili obiettivi, che sia ad alta velocità o meno. Osservando ciò che è accaduto di recente in Spagna, dove un errore umano è costato la vita a decine di persone, ci si rende conto delle conseguenze che potrebbe causare un attentato. Detto ciò, è necessario tener conto del fatto che il rischio cambia notevolmente in base al luogo in cui le informazioni vengono acquisite e ai soggetti coinvolti. Questi, infatti, possono avere una specifica progettualità che contraddistingue la singola cellula e non la strategia dell’intero movimento.
Quindi, come ha detto anche Barack Obama nei giorni scorsi, Al Qaeda oggi è molto frammentata?
Esatto, ma non per questo meno pericolosa. Non ci troviamo più di fronte a una grandissima organizzazione, ma a molte cellule che utilizzano il nome di Al Qaeda per darsi una propria identità. Alle spalle di tutto ciò vi è anche un retroterra religioso del radicalismo fondamentalista, ma negli ultimi anni abbiamo assistito solamente ad arresti all’interno di cellule locali composte da persone che probabilmente non sono neanche mai passate in tutta la loro vita nei luoghi dove Al Qaeda è radicata, come Pakistan o Afghanistan. Eppure, nonostante siano di seconda o terza generazione, questi terroristi si sentono titolari di una sorta di eredità da portare avanti.
Come mai l’Europa e la stessa Germania sono così a rischio?
Da tempo in Germania esiste una forte immigrazione religiosamente caratterizzata, in particolare dall’Uzbekistan. Per questo i servizi di intelligence tedeschi continuano ad attuare una intensa attività di monitoraggio su una parte della comunità musulmana presente in Germania. Di fronte a una presenza talmente massiccia, è quasi normale che vi siano anche soggetti legati agli ambienti più radicali.
Cosa può dirci invece dell’Italia?
E’ difficile dire quanto il nostro Paese sia a rischio, ma personalmente continuo ad essere ottimista nel considerare le nostre forze di polizia e di intelligence assolutamente all’altezza nel monitoraggio di questo fenomeno. E’ poi ovvio che, di fronte all’azione del singolo individuo, staccato da ogni cellula o organizzazione, l’attività di prevenzione ha davvero pochi spazi di manovra.
Un’ultima domanda: è possibile che la Nsa americana abbia “confezionato” la notizia per placare le polemiche derivanti dal caso Snowden e mostrare al mondo l’utilità delle intercettazioni?
L’attuale amministrazione americana ribadisce da anni che la sicurezza, divenuta la priorità subito dopo l’11 settembre, deve necessariamente essere bilanciata dagli altri diritti fondamentali previsti da tutte le Carte costituzionali, come la privacy. Per questo non credo ci sia spazio per eventuali nuovi compromessi in democrazie mature come quella degli Stati Uniti e dei Paesi europei. Insomma, un governo non potrà mai convincere i cittadini che un palese attacco alla riservatezza è l’inevitabile prezzo da pagare per una maggiore sicurezza, e lo stesso Obama lo ha ribadito più volte.
(Claudio Perlini)