Non capita spesso che un musulmano difenda ebrei e cristiani, tanto da essere costretto a lasciare il suo paese, l’Egitto, e chiedere asilo politico negli Stati Uniti. La storia di Hussein Aboubakr però testimonia come dietro agli stereotipi e all’ignoranza del mondo occidentale, qualcosa sta cambiando anche nel profondo Islam. Hussein, dopo aver preso parte con entusiasmo alla Primavera araba che portò alla destituzione di Mubarak, ha dovuto fare i conti con il fallimento della stessa Primavera, quando i Fratelli Musulmani hanno preso il potere. Studioso e insegnante di storia e letteratura ebraica, Hussein ha subito la persecuzione del nuovo regime. Ottenuto lo status di rifugiato politico, vive adesso in California e ha un blog, “I survived Tahrir Square”, in cui continua la sua battaglia, oltre a collaborare con il giornale The Times of Israel. Ilsussidiario.net lo ha contattato per questa intervista esclusiva: “Ho cominciato a sviluppare le mie idee molto presto e il modo in cui venivano maltrattati i cristiani in Egitto mi ha fatto ripensare le cose che la mia famiglia e la mia società mi avevano inculcato” ci ha detto tra le tante cose che squarciano un velo sulla realtà autentica dell’Egitto di oggi.



Il nome del suo blog è “Sono sopravvissuto a Piazza Tahrir”, può spiegarci esattamente cosa intende per sopravvissuto? Lei ha vissuto quei giorni che hanno portato alla cacciata di Mubarak e dato vita alla cosiddetta Primavera araba, che fine hanno fatto quelle speranze che avevano entusiasmato tutto il mondo?  
Cominciamo da principio. Intendevo sopravvivere nel senso fisico. Durante i sedici mesi che ho passato in piazza, dal gennaio 2011 al maggio 2012 quando ho lasciato l’Egitto, sono stato testimone di tantissime battaglie cruente, durante le quali molte persone sono morte. Durante quel periodo, chiunque fosse un partecipante nel movimento rivoluzionario ha avuto buone possibilità di essere ucciso, gravemente ferito o imprigionato e torturato. Mentre i media occidentali celebravano la “primavera araba” e la rivoluzione egiziana, i rivoluzionari morivano nelle battaglie di strada contro la polizia, l’esercito e militanti fedeli al regime. La rivoluzione non è una cosa semplice, non può essere fatta rapidamente affinché tutti possano tornare alla loro vita normale, questo perché tornare indietro alla propria vita normale è un fallimento della rivoluzione e non un successo.



E’ stato un processo lungo e lento, anche se i media hanno concentrato tutta la vostra lotta in pochi giorni di grande clamore e interesse.
La rivoluzione egiziana è passata attraverso differente piani, partendo dai primi 18 giorni (25 gennaio-11 febbraio) durante i quali Mubarak fu deposto, i giorni migliori della rivoluzione, quelli che hanno provocato un’euforia di speranza e pensieri positivi nella nostra gente. Abbiamo cristallizzato quei sentimenti nel nostro inno principale, “Pane, libertà e giustizia sociale”, cose che ancora oggi non sono però divenute realtà. La “primavera araba” sarebbe quindi da considerare un assoluto e miserabile fallimento se la tua idea di primavera fosse quella di una stagione infinita di felicità e prosperità, un qualcosa che non appartiene al Medio Oriente. Le primavere nelle nazioni desertiche del mondo arabo sono stagioni brevi, normalmente seguite da estati roventi, infernali, che portano tutti a cercare rifugio in case fortificate con l’aria condizionata.



E invece di cosa si tratta? Cosa è successo dopo quei giorni di euforia e speranza?
Io non sono un esperto di Libia o Tunisia, ma una nazione come l’Egitto, ad esempio, è stata stabile – utilizzando l’accezione statunitense di questo termine – per 30 anni. Questa stabilità era però artificiale e pagata da miliardi di dollari dagli Stati Uniti. Dietro questa stabilità languivano temi come la libertà personale e di parola, i diritti delle minoranze, l’ingiustizia sociale, la corruzione, la burocrazia, il fanatismo religioso, temi che non sono stati affrontati bensì soppressi dalla dittatura appoggiata dagli Usa, quindi quando il tappo di quella dittatura è stato tolto, tutti questo problemi sono saltati fuori con 30 anni di effetto retroattivo. Si immagini una lattina di soda chiusa che viene scossa per un’ora e poi aperta improvvisamente. Ecco la situazione attuale dell’Egitto, non esattamente il fallimento di un movimento rivoluzionario, ma il il fallimento dei regimi politici arabi post-coloniali.

Ora vive negli Usa, perché questa scelta?
Mi sono rifugiato negli Usa perché le mie idee, che sono non islamiche, pro-Israele, pro-Occidente, non possono essere tollerate né dal regime egiziano, né dai gruppi estremisti islamici. Ho sempre difeso la minoranza cristiana e scoraggiato l’antisemitismo egiziano. Sono stato arrestato varie volte dal regime di Mubarak nel 2010 e poi processato da quello dei Fratelli Musulmani nel 2011-2012.

E’ possibile dire, anche se Mubarak e Gheddafi erano dittatori sanguinari, che la gente comune viveva meglio prima della “primavera araba”?

Posso capire che alcune persone possano pensarlo e posso concordare con il fatto che possa sembrare così ma non penso che sia il caso. Ciò che sta accadendo in Medio Oriente è proprio a causa di persone come Gheddafi o Mubarak. Anni di corruzione politica ed economica hanno prodotto generazioni di arabi violenti, radicali, poveri e senza educazione. Per esempio, la polizia di Mubarak eliminava brutalmente ogni ideologia secolare di opposizione che emergesse nel Paese. Le università erano sotto stretta sorveglianza della polizia, nessun professore poteva essere assunto senza l’approvazione dell’Agenzia per la sicurezza statale. La quale ha lasciato la gente divenire vittima dell’Islam radicale con il quale Mubarak cospirava. Per anni in Egitto sono stato testimone di manifestazioni pubbliche contro gli Usa e Israele, durante le quali si chiedeva l’annichilimento dei nemici di Allah ma era praticamente impossibile vedere una manifestazione contro Mubarak stesso. La sanguinaria cultura della violenza che stiamo vedendo oggi è il diretto risultato del fallimento e della corruzione della polizia e del sistema giudiziario, che dettava alla gente la cultura della risoluzione violenta dei problemi in assenza della legge. Certo, le cose erano più tranquille in Medio Oriente prima, ma questo non significa che andassero meglio. Ciò a cui stiamo assistendo oggi è il diretto risultato di quanto Mubarak e suoi accoliti hanno fatto. 

Cosa pensa della decisione dell’esercito egiziano di deporre il presidente Morsi? Era davvero necessario? 
Io penso che sia stata una grande e vitale decisione. Ed era assolutamente necessario. I Fratelli Musulmani sono un gruppo islamico radicale. Non è un segreto che la teologia dell’islam militante di Al Qaeda si basi sugli scritti di Saied Qutb, un membro dei Fratelli Musulmani negli anni Cinquanta. Mohamad Atta è stato membro dei Fratelli Musulmani, Ayman Zwahiri, attuale capo di Al Qaeda, ha cominciato la sua carriera nei Fratelli Musulmani, un gruppo che non ha nulla da offrire se non il culto della morte e della violenza. Persino il fallimento dei Fratelli Musulmani è stata notevolmente rapido e disastroso, a tal punto che nemmeno l’opposizione egiziana si sarebbe aspettata. L’Egitto è una nazione povera con una situazione economica catastrofica e i Fratelli Musulmani si sono preoccupati unicamente di prendere il potere e occupare lo stato, dimenticando completamente lo sviluppo economico. 

Eppure i paesi occidentali hanno sostenuto i Fratelli Musulmani, in qualche modo. Morsi è stato presentato come una garanzia di democrazia. 
L’Egitto sta annegando nel debito e nonostante questo i Fratelli Musulmani stavano chiedendo al Fondo Monetario un nuovo prestito da 2 miliardi di dollari, la disoccupazione è cresciuta come non mai e il valore della valuta egiziana è crollato rapidamente. I Fratelli Musulmani hanno fatto molto poco per evitare che la nazione si schiantasse contro gli scogli. Un amico americano mi ha scritto questo dal Cairo durante gli ultimi giorni di Morsi: “Non c’è sicurezza, non c’è acqua potabile, elettricità e benzina nei distributori. La situazione attuale nelle strade non è differente da un film apocalittico di Hollywood sugli zombie”. Certamente non dobbiamo sopravvalutare Morsi, visto che era solo un burattino per il gruppo che aveva dietro. Morsi non era nulla se non un Imam pazzo che soleva tenere discorsi durante la preghiera del venerdì sulla distruzione degli ebrei. L’esercito non era preoccupato per Morsi ma per la gente che stava dietro di lui e questa è la gente che è stata realmente rimossa. 

Nel suo articolo “La tragedia dei copti in Egitto” lei dice: “Per favore non scordatevi nemmeno per un minuto che gli spietati islamisti pro-Morsi dei Fratelli Musulmani non sono quelli descritti dalla stampa occidentale come pro-democrazia e contro il colpo di Stato”. Chi sono davvero i Fratelli Musulmani, non c’è speranza che siano una forza democratica? 
I Fratelli Musulmani non sono un movimento politico democratico, non lo sono mai stato né mai lo saranno. Sono un movimento politico islamico che si è sviluppato nell’era coloniale, un mix di religione e resistenza armata che ha trasformato la guerra in un dogma sacro ed eterno. Il loro logo principale è una figura con due spade che si incrociano sopra un corano e sotto la parola “Preparati!” che è la prima parola di un versetto coranico sulla guerra agli infedeli. Quindi, lo slogan principale dei Fratelli Musulani non è “Yes, we can”, non è un cambiamento sociale, non è “giustizia per tutti”, non ha nulla a che fare con un movimento politico o sociale, ha più a che fare con “siate preparati a terrorizzare”. Come ho menzionato prima, la loro scuola teologica è quella che ha prodotto le fondamenta ideologiche per l’attuale islam militante. Hamas, che è globalmente considerata un’organizzazione terroristica, è il braccio palestinese dei Fratelli musulmani. Hanno assunto il potere a Gaza nel 2005 attraverso elezioni democratiche, le ultime che si siano poi tenute nei Territori. I Fratelli Musulmani manipolano il concetto di democrazia occidentale per prendere il potere, ma mai per lasciarlo. La stessa cosa, più o meno, è accaduta in Egitto durante il loro anno di governo, le elezioni sono state la loro ultima interazione con la democrazia. Dopo il voto, i Fratelli Musulmani hanno nominato al governo solo loro membri, hanno riscritto la costituzione del Paese insieme ai salafiti. Non penso che possano trasformarsi in una movimento sociale democratico, non fa parte del loro sistema, non è nel loro dna. 

Nei nostri tg vengono descritti come vittime della violenza dell’esercito egiziano, mentre l’Ue parla di un cambiamento nelle relazioni con l’Egitto dopo il colpo di Stato militare: cosa ne pensa?
Il supporto occidentale per i Fratelli Musulmani si basa su una complessità di fattori. Primo, sono stati visti come il ponte tra Islam radicale e Occidente, tanto più che poco dopo la loro ascesa Al Qaeda ha cominciato ad aprire sedi “diplomatiche” nei paesi del Golfo, a poche centinaia di chilometri dalla basi militari Usa. Inoltre, mi pare che in Occidente ci sia un certo trend che crede nella bontà della creazione di una specie di “zoo islamico” in Medio Oriente che contenga tutti gli islamisti e prevenga la loro migrazione all’estero. Qualcuno ha anche potuto credere che i Fratelli Musulmani avrebbero potuto convertire l’islam militante in puro islam politico. Ma tutte queste ragioni sono idiote, non puoi prendere in ostaggio milioni di mediorientali per garantire la sicurezza dell’Occidente, non potrà mai accadere. 

Pensa che la violenta reazione dell’esercito egiziano, con persone uccise nelle strade sparando ad altezza d’uomo, sia stata necessaria? Era l’unica via? 
Dobbiamo sapere e ricordarci che i militari sono militari, non capiscono altro che fuoco e ordini. Non esiste un esercito che possa controllare il suo uso della forza. Ogni qualvolta c’è un’azione militare, dobbiamo aspettarci di vedere sangue e uso eccessivo della forza, è una delle sfortune insite nel destino della guerra. Pensate alle azioni militari Usa in Vietnam o Iraq. Anche se un esercito combatte per una causa giusta, dobbiamo sempre aspettarci un uso eccessivo della forza. Molti reportage non ci dicono davvero cosa sta succedendo. Non si può giudicare nulla preso al di fuori del suo contesto, l’esercito non sta sparando contro chi protesta, ma contro terroristi pazzi e armati. Penso che l’esercito egiziano, che per anni è stato un fantoccio americano ed è sopravvissuto grazie all’aiuto degli Usa, agirà con cautela verso i Fratelli Musulmani fino a quando questi avranno il supporto Usa, ma c’è un gruppo terrorista di pazzi che sta muovendosi selvaggiamente in tutto il Paese e l’esercito è obbligato ad agire. Nel corso di questo processo, decine, se non centinaia di persone, tra cui molti innocenti, verranno uccisi, feriti o imprigionati. 
Ma qual è l’alternativa? Gli egiziani non ne vedono una. Non esiste un’altra opzione per l’esercito che non sia quella di ripulire la casa da un gruppo di persone che sta bruciando la nazione fino alle fondamenta.

Lei ha anche detto: Quale parte della non democratica ideologia dei Fratelli Musulmani è difficile da capire per l’Occidente? Come possono i governi e i media occidentali simpatizzare per loro e supportarli?”. Può provare a darci lei una risposta?

Ci sono teorie della cospirazione di tutti i tipi, ma non sono mai stato un loro fan. Penso che la verità sia che l’Occidente è guidato principalmente da Washington, ma Washington non ha un’idea di cosa sta accadendo ed è troppo arrogante per ammetterlo. Questo è apparso molto chiaro nell’ultimo paio d’anni. Il 25 gennaio del 2011, alla vigilia della rivoluzione egiziana, Hillary Clinton dichiarò che “gli Usa credono nella stabilità del regime di Mubarak”. Due giorni dopo Mubarak non era praticamente più il presidente egiziano. Quasi la stessa cosa è successa subito prima della deposizione di Morsi, mentre io e i miei amici egiziani correvamo in giro a dire che ci sarebbe stato un colpo di Stato, gli Usa stavano esprimendo fiducia in Morsi. Questo fa capire come a Washington non si abbia minimamente idea della realtà. 

Ben pochi media occidentale parlano degli attacchi dei Fratelli Musulmani contro le chiese cristiane in Egitto. Lei ha detto: “I copti stanno affrontando il loro destino da soli, come hanno sempre fatto. Attacchi alle chiese, sparatorie contro i preti alla luce del sole e l’incendio delle proprietà dei copti sono notizie giornaliere”. Quali speranze ha per l’Egitto? La situazione può davvero cambiare? 
Normalmente a pagare il prezzo più alto in Medio Oriente sono le minoranze religiose. E’ il caso della minoranza copta in Egitto, abbandonata dallo Stato e bersaglio dei radicali. Spero che gli egiziani abbiano una visione chiara di cosa vogliono per loro stessi, che finalmente determinino le loro relazioni con lo Stato, la religione, l’Occidente e tutto il resto in maniera chiara e razionale. 

I leader occidentali stanno parlando dell’Egitto come della nuova Siria, è davvero quello della guerra civile il futuro? 
E’ difficile prevedere in questo momento cosa succederà, siamo in un momento di anarchia spontaneistica. Nel caso maggiore pressione venga posta sull’esercito egiziano affinché si faccia da parte, cosa che non farà mai, e venisse garantito supporto maggiore ai Fratelli Musulmani, allora sì, lo sbocco potrebbe essere la guerra civile. Ma non penso che accadrà, perché se l’Occidente abbandonerà l’esercito egiziano, sarà la Russia a intervenire, anche per riconquistare il suo vecchio alleato mediorientale. Non dimentichiamoci che il principale arsenale russo fuori dalla Russia era proprio l’Egitto.  

Lei è nato musulmano, è un ricercatore di storia ebraica e mediorientale e letteratura ebraica, ma anche uno dei pochi musulmani a scrivere in difesa dei cristiani. Come è possibile? Cosa significa Dio per lei? Ci sono altri musulmani come lei in Egitto che vogliono davvero un mondo in cui cristiani, ebrei e islamici vivano in pace? 
La mia storia è una lunga storia. Ho cominciato a sviluppare le mie idee molto presto e il modo in cui venivano maltrattati i cristiani in Egitto mi ha fatto ripensare le cose che la mia famiglia e la mia società mi avevano inculcato. Non mi considero più un musulmano, mi considero un homo sapiens che non crede nella divinità. I più terribili crimini che ho visto commettere in vita mia sono stati perpetrati in nome di Dio, per cui per me quella di Dio è un’idea sgradita. Mi chiede se ci sono musulmani che sperano nella pace globale? Dovrebbero esserci, perché se così non fosse non vedrei nessuna speranza nel futuro del genere umano.

(Paolo Vites) 

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