“L’Indonesia è la dimostrazione del fatto che anche un grande Paese musulmano può essere democratico. Gli scontri che si sono verificati in Egitto non hanno come origine una natura intrinsecamente violenta dell’islam, ma l’assenza di una società civile in grado di mediare tra i poteri forti che vengono naturalmente a cozzare in qualsiasi processo democratico”. Il professor Azra Azyumardi è direttore del Postgraduate Program all’Università statale di Giacarta in Indonesia, e in questi giorni si trova in Italia dove è stato ospite del Meeting di Rimini sul tema “La libertà religiosa, via della pace”.



Professor Azyumardi, qual è l’esperienza di democrazia in Indonesia?

L’Indonesia rappresenta un modello di democrazia nel mondo islamico, e ha dimostrato che la religione musulmana è compatibile con uno Stato laico e liberale. Se guardiamo a quanto sta avvenendo nel Medio Oriente, e in particolare in Siria, Iraq, Tunisia ed Egitto, ci sono diversi problemi e un conflitto tra fazioni. La transizione verso la democrazia si sta dunque rivelando molto lunga. In Indonesia al contrario durante la presidenza di Abdulrahman Wahid e in seguito di Susilo Bambang Yudhoyono la democrazia si è rafforzata e consolidata.



Eppure anche in Indonesia abbiamo assistito negli ultimi anni a persecuzioni anticristiane. Qual è la causa di queste violenze?

Il problema è collegato soprattutto al fallimento del governo nel suo compito di rafforzare l’ordine e il rispetto della legge. Si sono verificate quindi tensioni isolate o episodi di violenze contro le chiese cristiane o altre minoranze religiose anche islamiche, perpetrati da gruppi estremisti. Il governo non deve tollerare l’esistenza di alcun gruppo che metta in atto azioni terroristiche contro le minoranze.

Che cosa può insegnare l’Indonesia per quanto riguarda la libertà religiosa e la democrazia nel mondo musulmano?



L’Indonesia rappresenta un’esperienza molto interessante da questo punto di vista. Il nostro segreto è il rafforzamento delle organizzazioni che appartengono alla società civile. Queste ultime svolgono un ruolo di mediazione molto importante tra partiti politici, militari e altri gruppi potenzialmente conflittuali nel contesto di un processo democratico. Al contrario dell’Indonesia, il problema dei Paesi arabi è la debolezza per non dire l’assenza di una società civile, e quindi di una cultura civica. Manca cioè un elemento indispensabile in qualsiasi democrazia. E’ proprio questa l’esperienza che l’Indonesia può condividere con gli altri musulmani del Medio Oriente.

E’ questa carenza della società civile dunque ad avere provocato gli scontri in Egitto?

Sì, e il motivo è che il ruolo politico della società civile è quello di mediare, di costituire un ponte tra partiti che entrano in conflitto per le dinamiche provocate dallo stesso processo democratico. La società civile può essere inoltre in grado di fornire dei leader alternativi nel momento in cui si produce un braccio di ferro tra la classe politica e quella militare, come sta avvenendo in Egitto. La sfida tra Fratelli musulmani, militari e formazioni di estrazione laica poteva di per sé appartenere a una normale dialettica democratica. Ciò che ha fatto sì che la situazione andasse fuori controllo è stata l’assenza di un potere in grado di mediare tra i vari avversari in campo, e inoltre la mancanza di leader in grado di rimpiazzare la vecchia classe dirigente.

 

Più in generale, che costa può insegnare il fallimento dei Fratelli musulmani egiziani all’islam politico in tutto il mondo?

La lezione della caduta del presidente Mohamed Morsi è che i partiti politici islamisti hanno il dovere di accettare la presenza nella vita politica anche di altri gruppi e non devono tenere tutto il potere nelle loro mani. Occorre una condivisione dell’autorità con i liberali e con i copti. Il problema di Morsi è stato che ha cercato di dominare l’intero potere, e nello stesso tempo non è riuscito a migliorare l’economia egiziana. Se le condizioni di vita materiale sono misere, ciò genera risentimento nei confronti del governo.

 

Per quale motivo nessuno nel mondo islamico si è mai pronunciato contro gli attacchi di Boko Haram ai danni dei cristiani in Nigeria?

I musulmani moderati dovrebbero non soltanto pronunciarsi contro Boko Haram e qualsiasi altra organizzazione estremista islamica, ma anche fare qualcosa per risolvere la situazione in Nigeria. Nel mondo islamico esiste una maggioranza silenziosa di moderati, che di fatto lascia l’intera scena pubblica agli estremisti. E’ proprio per questo che Boko Haram può continuare ad agire indisturbata.

 

(Pietro Vernizzi)

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