Il nuovo presidente dell’Iran, Hassan Rouhani, ieri in occasione del suo discorso d’insediamento si è rivolto all’Occidente auspicando rapporti più distesi rispetto al passato: “Se volete ottenere da parte nostra una risposta adeguata, non dovreste parlare il linguaggio delle sanzioni, bensì quello del rispetto”. Per Riccardo Redaelli, professore di Geopolitica all’Università Cattolica ed esperto di Iran, “il cambiamento più importante legato alla vittoria di Rouhani è che dopo i gravi brogli del 2009 le elezioni sono tornate a svolgersi in modo regolare. Il nuovo presidente non potrà avviare aperture incredibili o cambiamenti improvvisi sul nucleare, anche perché ha margini di manovra limitati, ma ciò non vuol dire che non potrà fare niente per portare una ventata di novità”.
Professor Redaelli, che cosa ne pensa del discorso di insediamento del presidente Rouhani?
Rouhani ha tenuto un discorso prudente, in linea con quanto ci si poteva aspettare da una figura come la sua. Non è un riformatore ma uno dei cosiddetti conservatori pragmatici, conosce l’Occidente ma soprattutto le leve interne del potere in Iran. Si è mosso in modo da non irritare e insospettire la guida Khamenei, che in passato ha distrutto il potere di tutti i presidenti incluso lo stesso Mahmoud Ahmadinejad.
Quella in corso in Iran è una reale trasformazione o soltanto una novità di facciata?
E’ un cambiamento, perché chiunque venga dopo Ahmadinejad rappresenta sicuramente un passo avanti. Inoltre i candidati più vicini ai pasdaran e più graditi alla Guida suprema Khamenei sono stati sconfitti. Si tratta di un segnale forte non solo da parte dell’Iran riformista, ma anche di quello dei bazarì, il potente ceto mercantile che era stato messo in difficoltà proprio dalle ingordigie dei pasdaran. Il movimento riformista, che non aveva un suo candidato, ha compreso che era meglio votare il meno distante da sé piuttosto che non votare.
Quale sarà la novità più importante che Rouhani porterà sulla scena politica iraniana?
Il cambiamento più importante della vittoria di Rouhani è il fatto che si è ritornati alle vecchie elezioni presidenziali iraniane. Fino al 2009 vi era una selezione tra i candidati che era decisa dal regime, per cui i candidati sgraditi erano fermati, ma una volta superata la selezione il voto era sostanzialmente libero, cioè non era manipolato dal regime. Nel 2009 ci sono stati brogli enormi, che hanno portato alla riconferma di Ahmadinejad, seguita dalle proteste e dalla loro brutale repressione. Nel 2013 questi brogli non ci sono stati. Khamenei, che rappresenta il potere più forte nel Paese, ha compreso che i brogli non rafforzavano la Repubblica islamica ma la indebolivano.
Quali sono quindi le riforme che vanno al di là delle stesse capacità di Rohani?
Non ci possiamo aspettare delle aperture incredibili o cambiamenti improvvisi sul nucleare. Gli iraniani, ridendo, di solito dicono: “In fondo è solo il presidente della Repubblica”. Non hanno tutti i torti, perché i poteri del presidente della Repubblica in Iran sono limitati, soprattutto per quanto riguarda il nucleare e la politica estera. Su questi ogni presidente deve stare molto attento, Rouhani per primo in quanto appartiene ai conservatori pragmatici che sono visti con sospetto sia dai riformisti sia dagli ultra-radicali alla Ahmadinejad.
Che cosa ci dobbiamo aspettare dal nuovo presidente?
Rouhani ha margini di manovra limitati, ma ciò non vuole dire che non può fare niente. Mi aspetto toni molto diversi e delle iniziative per cercare di ridurre la forte ostilità anti-iraniana da parte di Arabia Saudita e Qatar. L’Arabia Saudita è ossessionata dall’Iran e sta facendo di tutto per indebolirlo e isolarlo in Medio Oriente. Purtroppo lo fa aiutando i peggiori, come i gruppi vicini ad Al Qaeda, i jihadisti e i sunniti più fanatici e intolleranti. Lo si vede in Iraq e in Siria.
Che cosa cambierà per la Siria l’elezione di Rouhani?
Immagino poco. All’inizio della rivolta Teheran si è chiesta se si potesse lasciare cadere Assad e cercare un nuovo assetto. Ci ha però subito rinunciato dopo avere visto il sostegno di Qatar e Arabia Saudita ai gruppi qaedisti e jihadisti che oggi dominano l’opposizione siriana. La scelta ormai è tra un crudele dittatore come Assad e un’opposizione sempre più dominata da Al-Qaeda. Soprattutto per le minoranze cristiane, si tratta di una scelta terribile.
L’Iran invece la sua scelta l’ha già fatta da tempo …
L’Iran ha capito che non c’è alternativa e che la caduta di Assad si trasformerebbe in una sconfitta strategica molto forte. Teheran perderebbe il collegamento con il Libano e finirebbe sempre più isolato. Inoltre migliaia di jihadisti rientrerebbero in Iraq per attaccare il governo sciita di Bagdad. L’Iran e Rouhani continueranno quindi su questa posizione di sostegno molto forte ad Assad, anche perché da un punto di vista militare il presidente siriano sta dimostrando di essere vincente.
(Pietro Vernizzi)