E’ stato per tre mesi nelle carceri di Assad, dopo essere stato fermato dalla polizia mentre seguiva come giornalista le dimostrazioni contro il regime. Mohamad Zaid Mastou ha vissuto la prigionia in Siria proprio come Domenico Quirico, anche se ad arrestarlo furono le forze fedeli al governo e non i ribelli. Il giornalista siriano all’epoca era corrispondente per Al Arabiya dalla Norvegia, ed era tornato dalla sua famiglia per una breve vacanza, quando scoppiò la rivoluzione di cui documentò le fasi iniziali. Nel 2012 è tornato in Siria sempre per Al-Arabiya, e oggi lavora per la Middle East Broadcast Networks, una tv satellitare in lingua araba con sede a Washington e finanziata dal governo americano. Subito dopo la rivoluzione, Quirico ha affermato: “Ho cercato di raccontare la rivoluzione siriana, ma può essere che questa mi abbia tradito. Non è più la rivoluzione di Aleppo, è diventata un’altra cosa”.
Mastou, condivide le affermazioni di Domenico Quirico?
Per prima cosa, occorre chiarire che a combattere contro il regime di Assad non è un unico blocco. Quando la rivoluzione è iniziata non c’era un unico leader in grado di rappresentarla, in quanto era essenzialmente un fenomeno di popolo. Oggi in parallelo con la rivoluzione è cresciuta e si è sviluppata un’altra fazione che si contrappone ad Assad e che non rappresenta la libertà.
Quindi è cambiata la natura della rivolta siriana?
Tutto è iniziato con una richiesta di maggiore democrazia, ma poi si sono aggiunti Al Qaeda e altri movimenti jihadisti. Quando la rivoluzione è iniziata i siriani chiedevano democrazia e libertà, ma poi il conflitto si è fatto più complicato e un’altra fazione si è inserita, iniziando a combattere il regime per i propri interessi. Non possiamo dire che non sia più in atto una rivoluzione, perché i siriani continuano a lottare.
C’è il rischio che i jihadisti rubino la rivoluzione?
E’ ciò che stanno cercando di fare. In Siria abbiamo due gruppi che combattono Assad con obiettivi completamente diversi, e nessuno può dire quale di questi due “partiti” prevarrà.
Considera un errore strategico il fatto che i ribelli abbiano cercato l’appoggio di Arabia Saudita e Stati Uniti?
Ritengo che non lo si possa definire un errore. Quando i siriani hanno iniziato la rivolta non avevano armi e combattevano a mani nude. Con il tempo il conflitto si è esteso e il regime ha iniziato a ucciderli con armi pesanti. I ribelli hanno iniziato ad avere bisogno di aiuto, ed è stato naturale rivolgersi agli Stati Uniti che sono il loro più grande sostenitore e che possono fornire loro tutto ciò che chiedono. Lo stesso discorso vale anche per l’Arabia Saudita.
L’Arabia Saudita però è un regime dittatoriale e finanzia anche i gruppi jihadisti…
In generale non è mai positivo chiedere l’aiuto di potenze straniere, perché queste ultime quando forniscono il loro sostegno lo fanno sempre per i loro interessi. Chiediamoci però in modo sincero: i ribelli avevano qualche alternativa rispetto al fatto di chiedere l’aiuto di Arabia Saudita e Stati Uniti? Io ritengo che non avessero scelta.
Intanto però i ribelli combattono Assad con armi saudite e americane…
Va chiarito che non si tratta di un sostegno decisivo come affermano i media. Se si guardano tutti i video girati in Siria, documentano che la maggior parte delle armi utilizzate per combattere il regime sono state sottratte all’Esercito regolare. Solo piccoli quantitativi provengono dall’Arabia Saudita.
Che cosa ne pensa dell’ipotesi che a utilizzare le armi chimiche siano stati i ribelli?
E’ un’ipotesi illogica. Non è la prima volta che il regime utilizza le armi chimiche in Siria: cioè è avvenuto già 11 volte in passato e questa è la dodicesima. Inoltre i servizi segreti dei principali Paesi occidentali sono convinti che a servirsi delle armi chimiche sia stato Assad: ad affermarlo sono tanto la Cia quanto l’intelligence di Germania e Francia. Per i siriani chiedersi chi possa avere utilizzato le armi chimiche è una domanda ridicola, tutti sanno da dove viene l’attacco e chi li sta uccidendo. Gli arsenali chimici vengono dai depositi del governo, e non dalle basi dei ribelli.
(Pietro Vernizzi)