“La vivacità del cristianesimo nella società civile russa ha influenzato in modo positivo l’atteggiamento del governo di Mosca nei confronti della crisi siriana. A prevalere non sono stati gli interessi politici di una parte, ma la soluzione diplomatica che tutti auspicavamo”. Ad affermarlo è monsignor Paolo Pezzi, arcivescovo cattolico di Mosca, secondo cui “la preoccupazione per i profughi cristiani in Siria ha mobilitato le Chiese russe non soltanto sul piano ideale ma anche dell’aiuto fattivo, per venire loro incontro in tutti i modi”. La differenza di posizione del governo russo sulla delicata questione siriana è stata bene espressa dal presidente russo, Vladimir Putin, nell’editoriale pubblicato alcuni giorni fa sul New York Times. “La Russia ha sostenuto un dialogo pacifico per permettere ai siriani di sviluppare un piano di compromesso per il loro futuro – le parole di Putin -. Non stiamo difendendo il governo siriano, ma la legge internazionale. Abbiamo bisogno di usare il Consiglio di Sicurezza dell’Onu e di credere che preservare la legge e l’ordine nel mondo complesso e turbolento in cui viviamo è un modo per impedire che le relazioni internazionali scivolino nel caos”.



Monsignor Pezzi, quali sono le motivazioni culturali da cui nasce il diverso atteggiamento della Russia nei confronti della Siria?

Da un punto di vista politico c’è certamente una vicinanza della Russia alla Siria. Va però anche detto che la Russia ha osservato con attenzione le debacle che si sono verificate in Iraq e Libia, in seguito alla guerra promossa dalle potenze occidentali. La Russia ha constatato che ciò non ha portato comunque a un bene per questi Paesi e per le loro popolazioni.



E’ stato solo questo a influenzare la posizione russa?

Un ulteriore elemento di cui tenere conto è la percezione del fatto che in Russia il cristianesimo non è comunque un fattore secondario. Per la Russia da un punto di vista politico non si tratta del primo interesse, ma da un punto di vista culturale è una preoccupazione che la gente avverte come più vicina rispetto a quanto avvenga in altri Paesi più secolarizzati.

In questa posizione, quanto ha contato la solidarietà dei cristiani russi nei confronti dei cristiani siriani?

L’influenza è stata molto forte. Nei mesi passati, se escludiamo la voce del Papa e della Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa russa è stata l’unica a spendersi così tanto per sensibilizzare e anche per dare un aiuto reale e concreto ai profughi cristiani provenienti dalla Siria. Si è trattato di un aiuto non solamente morale, ma anche fattivo nei confronti dei cristiani in Siria. Ricordo anche che un anno fa si è tenuto un incontro di contenuto molto forte, su iniziativa della Chiesa Russo-Ortodossa, sulla situazione dei cristiani perseguitati. L’iniziativa ha avuto il merito di sensibilizzare fortemente l’opinione pubblica sulla questione.



 

L’importanza del cristianesimo per la società russa ha pesato anche sulle decisioni del presidente Putin nei confronti della Siria?

Se non ci fosse stata questa vivacità del cristianesimo in Russia, e anche la forza di influire sulle decisioni dello Stato, proprio in virtù di qualcosa di sentito anche dalla società civile, probabilmente la decisione del governo di Mosca sarebbe stata di ordine strettamente politico. Invece l’ipotesi prospettata dalla Russia affinché ci fosse una salvaguardia della popolazione siriana e in modo particolare dei cristiani si è orientata sulla soluzione diplomatica che tutti auspicavano.

 

Quanto conta in Russia quello che dice il Papa?

In Russia certamente le prese di posizione del Papa non costituiscono l’opinione più importante. Soprattutto con le dimissioni di Benedetto XVI e con l’elezione al soglio pontificio di Francesco abbiamo però assistito a un’attenzione crescente. I russi vedono in Papa Bergoglio una persona che crede profondamente a quello che dice. Ciò ha dato una forza crescente alle parole e agli interventi del Santo Padre, e ho trovato particolarmente significativo il fatto che all’incontro del G20 il presidente Putin abbia citato esplicitamente la lettera che gli aveva inviato il Pontefice.

 

(Pietro Vernizzi)

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