Ha sollevato un mare di polemiche la pubblicazione su Facebook delle foto di una ragazza canadese che si è tolta la vita lo scorso aprile dopo aver subìto uno stupro. Il social network ha utilizzato le sue immagini per un’inserzione a pagamento, le cosiddette “sponsored stories”, che pubblicizza un sito di incontri: “Trovare l’amore in Canada! Incontra ragazze e donne canadesi per amicizia, incontri o relazioni”, recita l’annuncio.
Ad accorgersene venerdì scorso è stato un amico di famiglia che ha avvertito immediatamente il padre della ragazza: “Sono sconcertato e disgustato da quanto accaduto”, ha scritto l’uomo sul suo blog dove ha pubblicato anche l’immagine dell’annuncio. “Questa è mia figlia, Rehtaeh. L’hanno usata per un annuncio di incontri tra single. Sono senza parole”. Dopo le polemiche, le foto sono state ritirate e Facebook ha chiesto ufficialmente scusa annunciando di aver bannato il sito di incontri (Ionechat.com) per “gravi violazioni” delle politiche della società.
La ragazza, Rehtaeh Parsons, è stata violentata quando aveva quindici anni da quattro coetanei durante una festa: le foto di quei tragici momenti sono state diffuse su Facebook nei giorni successivi e la giovane ha dovuto anche subire telefonate, insulti e minacce da parte dei compagni di scuola. Dopo due anni vissuti come in un incubo, Rehtaeh si è impiccata nel bagno di casa sua. Nel suo caso era intervenuto anche il movimento di hacker Anonymous, che di fronte alle deludenti indagini condotte dalla polizia canadese ha annunciato di aver trovato i colpevoli dello stupro in appena due ore.
Solo in questo modo le autorità hanno potuto arrestare i responsabili. Dopo il suicidio, i genitori della ragazza hanno dato il via a una campagna di sensibilizzazione contro il bullismo e il cyberbullismo nelle scuole. Il caso aveva talmente scosso il Paese che il mese scorso la Nuova Scozia ha deciso di promulgare una legge che permette alle vittime di questo tipo di bullismo di citare in giudizio l’autore del reato.