L’esercito siriano ha “il dito sul grilletto”, pronto a rispondere a un attacco americano. Lo ha detto il primo ministro siriano Wael al Halqi, lanciando ufficialmente il guanto di sfida agli Stati Uniti che già nelle prossime ore potrebbero lanciare la prima offensiva contro la Siria. La notte scorsa, infatti, il presidente statunitense Barack Obama ha chiesto formalmente al Congresso di autorizzare raid militari nel Paese, una risoluzione che autorizza il presidente a usare le forze armate americane “per quanto lui ritenga necessario e appropriato in rapporto all’uso di armi chimiche o altre armi di distruzione di massa nel conflitto”. Immediata la replica del presidente siriano Bashar al Assad, secondo cui le minacce statunitensi di lanciare un attacco contro la Siria non spingeranno il regime ad abbandonare i propri principi o la sua “lotta contro il terrorismo appoggiato da alcuni Paesi della regione e occidentali, in primo luogo gli Stati Uniti d’America”. Abbiamo commentato l’attuale situazione con Carlo Jean, esperto di geopolitica militare.
Come giudica innanzitutto la reazione del regime siriano al temporaneo dietrofront di Obama?
Di fronte a un attacco che doveva inizialmente avvenire ma che non è avvenuto, ovviamente il regime si attribuisce il merito di averlo evitato, quasi prendendosi gioco degli Stati Uniti e del presidente Obama. Il ripensamento americano è stato particolare, ma è proprio questo adesso a rendere inevitabile l’offensiva.
Solamente da parte degli Stati Uniti?
No, anche da parte dell’Europa. Rispetto ai giorni scorsi la situazione non è cambiata di molto, ma certamente la possibilità di un attacco massiccio nei confronti della Siria si è fatto decisamente più probabile.
Come mai gli Stati Uniti ora devono attaccare dopo l’iniziale rinuncia?
Perché devono agire per mantenere la loro credibilità e la parola data. Insomma, la “linea rossa” di Obama dovrà essere rispettata, quindi lanceranno senza dubbio un attacco su obiettivi di valore siriani, come posti di comando e il palazzo del presidente Assad.
Sarà invece la Francia il primo Paese europeo a intervenire?
Senza dubbio, soprattutto per aumentare il suo prestigio e la sua credibilità nei confronti degli Stati Uniti, anche se in questo pesa ovviamente molto il forfait della Gran Bretagna. E’ probabile che gli obiettivi da colpire siano già stati stabiliti insieme agli americani.
In che modo questi attacchi potranno danneggiare il regime siriano?
Non prevedo particolari conseguenze, anche perché dopo aver lanciato qualche missile gli americani si potranno ritenere soddisfatti di aver mantenuto la parola, mentre i siriani minimizzeranno per non farsi vedere danneggiati agli occhi del mondo. E’ quindi plausibile che tutto proseguirà come prima.
Quindi un eventuale attacco non sarebbe altro che una dimostrazione di forza?
Ma certo, anche perché per cambiare radicalmente la situazione siriana ci sarebbe bisogno di un’offensiva e di una strategia molto più complessa che richiederebbe molto più tempo, risorse e fatica. Ma più di tutto, un intervento del genere necessiterebbe del totale allineamento della Turchia con gli Stati Uniti, cosa che non accadrà mai.
Il ministro Bonino ha anche parlato del rischio di una guerra mondiale…
E’ un’ipotesi da escludere, anche perché credo che nessun Paese abbia né l’interesse né la volontà di impiegare un livello di forza tale da rendere quasi inevitabile uno scontro, ad esempio, tra Stati Uniti e Russia. E’ uno scenario praticamente impossibile.
Come crede reagirà Assad a un eventuale attacco?
A mio avviso il presidente siriano incasserà l’attacco, dirà di non aver subito molte perdite e la situazione risulterà di fatto immutata. E’ estremamente improbabile che Assad possa effettuare delle ritorsioni contro Israele o contro la Turchia, altrimenti andrebbe incontro a un attacco molto più pesante.
(Claudio Perlini)