«Anche se dopo le elezioni tedesche il nuovo governo di Berlino dovesse rinunciare all’austerity, ciò non sarebbe sufficiente a rilanciare l’economia italiana. L’unica possibilità per uscire dalla recessione è abbandonare la moneta unica e ritornare alla valuta nazionale». A sostenerlo è Claudio Borghi Aquilini, professore di Economia degli intermediari finanziari all’Università Cattolica di Milano, secondo cui il voto tedesco di domani potrebbe cambiare l’assetto politico del governo di Berlino, ma non modificherà sostanzialmente le sorti dell’economia europea.
Professor Borghi, che cosa cambierà per l’economia europea con il voto tedesco di domani?
Uno degli appuntamenti chiave dopo le elezioni sarà la decisione sulla necessità di un ulteriore esborso di fondi da destinare alla Grecia. Quasi tutti i partiti tedeschi hanno negato questa eventualità, e quindi ci si chiede che cosa accadrà quando ci si troverà di fronte alla necessità inevitabile di finanziare la Grecia. Se infatti Atene dovesse dichiarare un ulteriore default sul suo debito, le conseguenze sarebbero molto gravi.
Per quali motivi?
Al secondo default consecutivo, nessuno sarebbe più disposto a prestare soldi ad Atene, e d’altra parte l’Europa non erogherebbe finanziamenti diretti per l’opposizione della Germania. La Grecia si troverebbe così nelle condizioni di non poter pagare né gli stipendi pubblici, né le pensioni, o in alternativa di uscire dall’euro. La decisione sul debito greco sarà quindi il momento di vero test sulla nuova coalizione e sul governo tedesco. A quel punto si potrà infatti valutare se chi uscirà vincitore dalle elezioni manterrà le intenzioni bellicose dimostrate negli ultimi anni.
Ma secondo lei basterebbe un ripensamento tedesco sull’austerity per risolvere i problemi dell’euro?
No, non basterebbe perché l’unico ripensamento che potrebbe risolvere i problemi dell’euro riguarda i trasferimenti interni. Un’area con forti squilibri occupazionali e di crescita come l’Europa, con aree economiche che stanno prendendo direzioni divergenti dal ciclo economico, può essere affrontata soltanto se c’è una banca centrale che garantisce il debito per tutti e gli Stati ricchi accettano di pagare per quelli più poveri. È un po’ quello che accade in Italia con il Nord che paga per il Sud. Ma ritengo che a livello europeo un ripensamento della Germania, a prescindere dal governo che vincerà le elezioni, sia un evento altamente improbabile.
Quindi anche un ripensamento sull’austerity non sarebbe sufficiente?
Se si verificasse questo scenario, per quanto non plausibile, a beneficiarne sarebbe molto più la Germania che non l’Italia. In questo momento se l’Italia o l’Europa periferica incominciassero a spendere a deficit, per attuare una politica anticiclica, poiché la Germania ha un vantaggio competitivo nei confronti degli altri paesi esportatori, la spesa addizionale dell’Italia finirebbe nei prodotti tedeschi facendo riesplodere la nostra bilancia dei pagamenti.
Qual è quindi la soluzione?
L’unica possibile soluzione sarebbe quella di ritornare alla valuta nazionale dopo avere fatto uscire l’Italia dall’euro. Finché al contrario si rimane nella moneta unica, anche abbandonando l’austerity e incominciando a spendere, lo Stato va in deficit. Il fisco raccoglierebbe infatti un gettito inferiore e i privati comincerebbero a comprare beni che per la maggior parte dei casi sarebbero esteri. Si verificherebbe così una fuga di capitali dall’Italia, i quali potrebbero rientrare soltanto se qualcuno fosse disposto a erogarci un prestito. In questo modo salirebbe l’indebitamento privato, che è esattamente il processo che si è verificato nella prima fase dell’euro. L’Italia acquistava beni esteri, ma nessuno si accorgeva che si stava aprendo un buco perché gli investitori continuavano a prestarci denaro. Il buco si è così rivelato nella sua interezza quando a un certo punto gli investitori hanno smesso di farci credito.
(Pietro Vernizzi)