“Nell’attacco di domenica contro la chiesa di Peshawar sono rimasti uccisi 13 membri della mia famiglia, inclusi i miei cuginetti che andavano ancora all’asilo. Tra i morti ci sono anche diversi miei amici, e chi è scampato si trova in ospedale”. E’ il racconto di Z.Y., cristiano pakistano di 21 anni, che era uscito da Messa pochi istanti prima che due kamikaze si facessero esplodere nella calca di quasi 500 fedeli, falciando 85 vite e ferendo 140 persone. I talebani avevano annunciato gli attacchi contro le chiese come ritorsione per i raid dei droni americani, e hanno puntualmente eseguito i loro piani prendendo di mira la parrocchia di Tutti i Santi a Peshawar. “Perdono i terroristi che hanno ucciso i miei cari, come ci ha insegnato Gesù – scandisce il 21enne pakistano -. Ma i talebani devono sapere che domenica prossima andrò in chiesa senza provare nessun timore. La paura è un sentimento che noi cristiani pakistani non ci possiamo permettere. I fondamentalisti possono ucciderci tutti, ma chi ha paura è come se si uccidesse da solo”.
Lei dove si trovava al momento delle due esplosioni?
Al momento dell’attentato io mi trovavo all’esterno e ho visto le due esplosioni provocate da altrettanti kamikaze. Ho visto bene in viso i due terroristi, erano due uomini giovani. Quando i due ordigni sono deflagrati mi sono trovato circondato da persone agonizzanti che gridavano chiedendo aiuto, riverse a terra davanti a me, e nei muri della chiesa c’erano dei grossi buchi da cui si vedeva l’interno della navata.
Lei ha riportato delle ferite?
No, ma tra quanti ho visto morire sotto ai miei occhi c’erano numerosi dei miei parenti, mentre altri membri della mia famiglia sono rimasti feriti e sono stati ricoverati in ospedale dove si trovano tuttora. Sono arrivate le ambulanze e decine di lettighieri hanno portato i feriti al pronto soccorso.
Si aspettava che potesse accadere qualcosa del genere?
Sì. I talebani avevano annunciato che avrebbero organizzato nuovi attentati contro le chiese e le minoranze e hanno attuato puntualmente i loro piani. Com’è la vita dei cristiani in Pakistan? Non è affatto sicura, i quanto non c’è nessuna legge che ci protegga.
Lei va a messa tutte le domeniche?
Sì.
E ha paura quando ci va?
No, non ho paura e non l’avrò mai in futuro.
Perché?
Perché quando un terrorista ti lancia una bomba addosso ti uccide, ma quando hai paura è come se fossi tu a ucciderti da solo. Per questo motivo noi cristiani pakistani non possiamo permetterci di avere paura.
Non teme per la sua vita?
Non temo per me stesso, ma ho paura per i miei familiari e per la comunità cristiana della mia città, e soffro molto per il fatto di non potere vivere liberamente la mia religione. Nella fede trovo però la forza per affrontare tutto ciò.
Quanti parenti ha perso nell’attentato?
Nell’attentato sono morti 13 miei parenti tra zii e cugini e numerosi amici, senza contare le persone rimaste ferite. Tra i miei cugini morti nell’esplosione ci sono diversi bambini.
Che cosa possono fare i cristiani occidentali per aiutare la minoranza perseguitata in Pakistan?
Ciò di cui abbiamo bisogno è di maggiore sicurezza e di medicine per le persone ferite. I Paesi occidentali hanno risorse che spesso vanno sprecate e che potrebbero essere utilizzate per aiutarci. Qui in Pakistan c’è bisogno del vostro sostegno.
Quale tipo di sostegno?
Abbiamo bisogno del vostro sostegno finanziario per il cibo, l’istruzione e un futuro migliore. Qui manca ogni cosa.
Se la sente di perdonare i talebani che hanno attaccato la chiesa e ucciso 13 dei suoi parenti?
Sì, perché Gesù Cristo ci ha insegnato a perdonarli in quanto non sanno quello che fanno.
(Pietro Vernizzi)