Un gruppo di giovani cristiani egiziani, il Maspero Youth Union, si è incontrato con la commissione di 50 membri che sta lavorando alla revisione della Costituzione egiziana per presentare le sue proposte in tema di libertà religiosa. Uno di loro, Bishoy Tamry, ha sottolineato di essere “contrario a qualsiasi articolo religioso incluso l’articolo 2”, il quale afferma che “l’Islam è la principale fonte della legislazione”. Il gruppo copto ha proposto inoltre di inserire un articolo in cui si afferma che l’Egitto è uno “Stato laico”. Nei giorni scorsi l’Università di Al-Azhar aveva fatto sapere che l’identità islamica dell’Egitto rimarrà confermata nella Costituzione che uscirà dalla attuale fase di revisione, con il consenso delle Chiese cristiane.



Un comunicato di Al-Azhar aveva precisato che la revisione in atto del testo costituzionale non cancellerà i riferimenti all’Islam come matrice dell’identità nazionale e che, in accordo con le tre Chiese egiziane, è quanto mai necessario “ottenere una Costituzione che sottolinei l’identità islamica dell’Egitto e dia la priorità alla riconciliazione nazionale, superando considerazioni politiche e di parte”. Per commentare la situazione egiziana abbiamo contattato il professor Massimo Campanini, uno dei più attenti studiosi del “mosaico” mediorientale e attualmente docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento. Ma è l’elenco delle sue pubblicazioni ad attestare la competenza e l’acume con cui Campanini affronta la questione, la sempiterna “polveriera” del Medio Oriente, e in una delle sue ultime fatiche, “Le rivolte arabe e l’Islam, la transizione incompiuta” (Mulino 2013), si cimenta proprio nella ricerca delle ragioni sociali e religiose del “post” Primavera Araba.



Professor Campanini, si parla di bando per i partiti religiosi, cancellazione dell’articolo 219 sull’interpretazione della Sharia: sono gli emendamenti alla Costituzione egiziana del comitato di revisione pubblicata dalla stampa governativa del Cairo. Che ne pensa?

Guardi, l’impossibilità di costituire partiti religiosi in Egitto risale al 1971, al tempo di Sadat, di Anwar Sadat. E questa scelta era stata fatta perché creava un certo bilanciamento tra le forze politiche. E’ evidente comunque che questa nuova scelta, ribadita in questo modo, sembra chiaramente diretta contro i Fratelli Mussulmani, per emarginarli completamente.



Lei non crede professore che riemerga una vecchia “anima laica”, interpretata dall’esercito in Egitto, come del resto avviene in Turchia dai tempi di Kemal Ataturk? In fondo l’esercito è sempre stata l’istituzione di riferimento fondamentale.

Questo è vero, ma occorre ampliare l’orizzonte e la prospettiva. In tutto il Medio Oriente, nei Paesi del Medio Oriente, l’esercito è sempre stata l’istituzione di riferimento perché ha rappresentato la forza che meglio ha interpretato e rappresentato il passaggio dalla fase coloniale alla fase post-coloniale, a cominciare dagli anni Cinquanta. Questo non avviene solo in Turchia, in Egitto, la storia si ripete in Libia, in Algeria, in Iraq, in Iran, in Siria, in Sudan. Persino in Tunisia, dove l’esercito sembra avere una minore capacità, non si dimentichi che Ben Alì era un militare.

Ritornando all’Egitto, come è avvenuto questo processo interpretato dall’esercito? 

Bisogna risalire alla rivoluzione degli “ufficiali liberi” nel 1952. I Fratelli Mussulmani appoggiarono quella rivoluzione, cercando di inserirsi e appoggiando Muhammad Naguib. Poi nel 1954 la partita la vince Gamal Nasser. C’è la storia di un attentato ad Alessandria, forse “pilotato” (ma non si può affatto affermarlo) contro Nasser durante un comizio ad Alessandria. Un Fratello Mussulmano spara otto colpi al futuro rais, da breve distanza, e non lo colpisce. Non c’è dubbio che quell’attentato fallito servì a Nasser.

 

In tutti i casi Nasser fu un punto di riferimento per tutto il Medio Oriente. Non le pare?

Lo era. Un punto di riferimento che oggi purtroppo manca in Medio Oriente e che, per questa carenza, favorisce, litigi, contrasti, conflitti. Nei confronti di Nasser, gli occidentali cominciarono a commettere i loro errori, costringendolo di fatto ad avvicinarsi all’Unione Sovietica in un periodo cruciale della “guerra fredda”. E’ stato uno dei tanti errori della diplomazia occidentale e anche di quella americana.

 

Da che cosa sono determinati questi errori della diplomazia occidentale e di quella americana in particolare?

Gli occidentali e gli americani guardano soprattutto ai loro interessi. Durante la “guerra fredda” hanno sostenuto tutti i dittatori della zona. Vengono accusati di operare una politica del “double standard”. Cambiano opinione quando mutano le situazioni del quadro mondiale. Il presidente Barack Obama accende le speranze con il comizio del Cairo del giugno del 2009, ma poi fa una politica incerta e quindi si muove male. Il risultato, anche per questa ragione, è quello che si vede oggi.

 

Ma come giudica, alla luce di tutto questo, la cosiddetta “primavera araba”, professor Campanini?

E’ stato un movimento interessante per passare finalmente a uno Stato democratico. Ora si pensa che tutto questo sia fallito solo per colpa delle forze islamiste. Ma è una visione riduttiva, non si può dire che la colpa sia in Egitto solo dei Fratelli Mussulmani e in altri Paesi delle forze islamiste Ci sono altre forze in quelle società, come in quella egiziana, che si oppongono a un simile cambiamento. Non è solo l’esercito, ma anche vari strati sociali che hanno beneficiato in passato di vantaggi a cui non sanno rinunciare, a cui non vogliono rinunciare. E’ questo che ha depotenziato le rivolte del 2011.

 

C’è anche all’interno del Medio Oriente, almeno si dice, un ruolo dell’Arabia Saudita.

E’ dai tempi di Feisal, dagli ani Sessanta, che l’Arabia Saudita cerca di giocare un suo ruolo egemonico, con il suo orientamento salafita e conservatore. Ma non possiamo stare a ragionare su retroscena. Il problema reale è che il Medio Oriente è una polveriera, ma è sempre stato una “polveriera”. Il fatto più inquietante in questo momento è, come dicevamo prima, la mancanza di un punto di riferimento, un leader che sappia interpretare meglio di altri una politica mediorientale. Nasser era un punto di riferimento. Laico e socialista, certo, ma anche non ostile all’islamismo del popolo.

 

Che soluzione prevede per il Cairo? 

Fermato il moto rivoluzionario, per l’azione di tutte le forze che si oppongono, penso che l’esercito abbia in mente una soluzione mubarakiana, senza Mubarak.

 

C’è sempre da considerare il ruolo di Israele nella zona?

Gli israeliani pensano alla difesa del loro territorio ed erano filomubarakiani. Ma il problema è che Israele spesso si muove in modo aggressivo e non risolve mai il problema di fondo, che è quello della questione palestinese. Finchè non risolverà tale questione in modo ragionevole non si va da nessuna parte.

 

(Gianluigi Da Rold)

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