Un villaggio sperduto. Chi percorresse la strada che va da San Miguel el Alto a Jalostotitlán, nella regione chiamata Los Altos de Jalisco, un altopiano a 2000 metri di altezza, dico, chi percorresse quella strada vedrebbe, a una ventina di chilometri da San Miguel, sulla destra, quasi sorgere dal nulla, un arco trionfale di recente costruzione sotto il quale si diparte una strada che sparisce improvvisamente in una valle nascosta. Se poi, preso dall’affascinante invito che l’arco offre a varcarlo, prendesse per quella stradetta e la seguisse, giungerebbe dopo pochi chilometri al rancho de Santa Ana de Guadalupe, meta da alcuni anni in qua di numerosi pellegrinaggi. Anch’io, portato, lo confesso, da una curiosità europeizzante di marca illuminista, in altre parole, portato dall’interesse di vedere un fenomeno di costume, indubbiamente interessante dal punto di vista etnologico, oltrepassai l’arco e mi incamminai verso Santa Ana. Ma, lì giunto, incontrai il mistero. Nessuno conosceva Santa Ana de Guadalupe, che era un paesino sperduto come mille nel mondo, fino a quando il papa Giovanni Paolo beatificò e poi canonizzò, il 21 di maggio del 2000, San Toribio Romo. Da allora avevo sentito dire che era diventato una meta sempre più frequentata, in particolare dai messicani che, non avendo un visto d’ingresso per gli Stati Uniti, cercano di passare il confine attraverso il Rio Grande o il deserto.
Chiesa perseguitata. Era Toribio un giovane sacerdote da poco ordinato quando si scatenò la persecuzione contro la chiesa negli anni dal 1926 al 1929. Nel 1926 il presidente Calles promulgò las leyes especiales con le quali pretendeva disciplinare, attraverso gravi limitazioni, la vita ecclesiastica, l’amministrazione dei sacramenti e la celebrazione delle funzioni religiose. La risposta dell’episcopato messicano non si fece attendere: i vescovi sospesero il culto in tutto il Paese, convinti che il governo avrebbe ceduto, sotto la pressione dell’opinione popolare. Ma non fu così. Il governo trattò da fuorilegge i sacerdoti che amministravano i sacramenti. La gente si trovava così privata dei mezzi per la salvezza. I cristiani allora scesero in campo per difendere la chiesa perseguitata. E anche i laici che apertamente prendevano posizione per la chiesa furono oggetto della terribile persecuzione. Iniziò così la lotta al governo federale che diede vita a due movimenti: quello della resistenza non violenta e quello della lotta armata. Quella guerra sanguinosa e fratricida fu detta la Cristiada e si concluse senza vinti né vincitori nel 1929, con los arreglos. Molti sacerdoti dovettero fuggire. Toribio invece, con altri, non volle lasciare la sua parrocchia fino a quando affrontò il martirio nella notte del 25 febbraio del 1928. Lo sorpresero nel sonno i soldati: “Sì, sono il parroco, ma non uccidetemi”. Una scarica di fucileria lo stroncò. In quegli anni, vari sacerdoti e laici offrirono la loro vita per testimoniare la fedeltà a Cristo, proprio come nei primi due secoli della chiesa. Qualche hanno fa il Papa ha beatificato e canonizzato vari di questi eroi della fede. E la gente ha risposto venerandone i corpi e la memoria, pellegrinando ai luoghi ove vissero, chiedendone l’intercessione.
Un santo illegale. Anch’io, dunque, giunsi al villaggio ed entrai nella chiesa, austera nella linearità della sua architettura. Una donna di età già avanzata, forse una catechista o una laica consacrata, stava narrando la vita di San Toribio. Mi sedetti in un banco in fondo alla chiesa. La gente, pellegrini giunti a invocare l’aiuto e la protezione di San Toribio, ascoltava attentamente le parole quasi ispirate della donna le quali esprimevano una esistenziale fiducia in Dio. Ero andato, come dicevo, spinto da una certa curiosità rispettosa, ma fui conquistato dalla fede popolare e dalla semplice grandezza di quell’uomo. Ascoltai così la storia della sua breve vita, il racconto della sua morte annunciata e infine la narrazione di qualche intervento miracoloso di Toribio in favore di ammalati o tribulati. Finito di narrare, la donna tacque e si sedette. Tutti stavano in silenzio. Cominciai a riflettere. Mi chiedevo, con un po’ ancora di quella curiosità che mi ci aveva portato, perchè mai fosse stato eletto a voce di popolo patrono degli emigranti illegali. Così mi alzai dal mio banco, avanzai fino a sedermi accanto a colei che aveva parlato e le chiesi il perchè. “Glielo spiego subito”, mi disse. Si alzò, prese di nuovo il microfono e cominciò a raccontare.
Un incontro misterioso. “Tre fratelli della regione di Michoacán, non trovando lavoro nella loro terra, decisero di emigrare per lavorare negli Stati Uniti ma non avevano il visto d’ingresso. Risolsero dunque di entrarvi passando il confine là dove c’è il deserto che, essendo difficile da passare, è quindi anche il luogo dove si può più facilmente eludere la sorveglianza della temuta polizia di frontiera, spesso crudele. Così dissero e così fecero. Si diressero al confine, lo passarono, entrarono nel deserto ma vi si perdettero. Avevano terminato l’acqua e il cibo e non sapevano dove dirigersi esattamente per uscire da quell’inferno. Erano stanchi eppure la forza di volontà li sosteneva. Fin quando uno dei tre disse agli altri: “Non ce la faccio più, andate avanti voi, io resto qui e pregherò la Madonna di Guadalupe che vi aiuti”. Ma gli altri gli risposero: “Come potremmo andarcene e lasciarti qui a morire? Mettiamoci piuttosto tutti e tre a pregare la Madonna perchè ci salvi”. E cominciarono a recitare il rosario. Fu allora che, con loro meraviglia, videro arrivare un uomo giovane vestito di scuro. Egli offrì loro acqua e cibo, li condusse dove passava una strada e diede loro i soldi perchè potessero prender l’autobus di linea che passava di lì.
Al momento di congedarsi disse: “Quando tornerete in patria, venite a trovarmi, vivo nel tal villaggio, chiedete di me”. E diede loro il suo nome. Stupiti gli chiesero “Ma tu non vivi qui?” “No, ci sono venuto per un incarico della mia padrona”. Ringraziarono e salutarono i tre fratelli il loro provvidenziale salvatore. Passò del tempo. Quando poterono ritornare a casa, non avendo dimenticato chi aveva loro salvato la vita in quella disperata circostanza, decisero di fargli visita e riuscirono a giungere allo sperduto villaggio di Santa Ana de Guadalupe. Chiesero se qualcuno conosceva un signore giovane ma di aspetto grave, che loro avevano conosciuto negli Stati Uniti, el señor Toribio, e cercavano di descriverlo. Ma nessuno sapeva dar loro informazione di dove vivesse. Delusi, stavano per tornare a casa; prima però vollero fare una visita in chiesa. Fu allora che riconobbero in questo quadro – e così dicendo la signora indicò quello che stava a un lato dell’altare – il loro misterioso salvatore”.
(padre Pancho)