Il presidente Barack Obama ha incassato ieri il sostegno dei Repubblicani sul piano che prevede un intervento americano in Siria. I due leader della destra al Congresso, John Boehner ed Eric Cantor, hanno espresso il loro sostegno a un’azione militare contro Assad. Il Congresso voterà la prossima settimana, ma intanto sembra profilarsi una maggioranza favorevole all’opzione voluta da Obama. Nel frattempo ha destato molto scalpore la notizia sul test missilistico congiunto di Israele e Stati Uniti nel Mediterraneo. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha sottolineato: “La realtà intorno a noi sta cambiando. Voglio dire a chiunque intenda farci del male: non è consigliabile”. Per Michael Herzog, analista militare israeliano e international fellow del Washington Institute for Near East Policy, “i test erano stati programmati da tempo e in origine non avevano nulla a che vedere con la Siria, anche se in retrospettiva non è male che si mandi un segnale ad Assad. Lasciare che il dittatore utilizzi impunemente i gas chimici sarebbe un errore, perché l’Iran capirebbe che può continuare indisturbato gli esperimenti nucleari”.
Herzog, qual è il significato dei test missilistici di ieri?
Purtroppo i test di ieri sono stati interpretati nel contesto dell’attuale crisi siriana. In realtà si tratta di lanci di routine che erano in programma già da diverso tempo, e non c’è quindi nessun motivo per drammatizzare quanto è avvenuto. Grazie all’assistenza americana, Israele sta sviluppando un sistema di difesa missilistica basato sul cosiddetto Arrow System. Si tratta di una nuova versione, chiamata Arrow 3, che durante gli esperimenti è utilizzata simulando la presenza di missili lanciati da aeroplani nemici.
Lo scopo dei test era quello di mostrare alla Siria la potenza militare di Israele?
In retrospettiva non è un male che si mandi un messaggio alla Siria e ad Hezbollah, oltre che ovviamente a Iran e Russia. Non era però questo l’obiettivo originale, tanto è vero che non è stato Israele a diffondere la notizia dei test bensì la Russia.
Se Obama dovesse decidere di intervenire, Israele fornirà un supporto solo logistico o giocherà anche un ruolo attivo nella guerra?
Non mi aspetto alcun tipo di supporto attivo da parte di Israele. Il nostro governo ha enfatizzato il fatto che non gioca nessun ruolo nell’attuale crisi in Siria e non ha nessun desiderio di farsi coinvolgere in una guerra civile. L’America del resto non ha nessun bisogno del sostegno israeliano, si tratta infatti di una superpotenza e se decidesse di attaccare sarebbe in grado di farlo da sola. Da tempo esistono delle operazioni congiunte tra Israele e Stati Uniti, ma ritengo che non si verificherà nessun coinvolgimento delle forze armate di Gerusalemme in un eventuale intervento in Siria.
Il governo israeliano è favorevole all’opzione militare?
Israele non ha chiesto all’America di intervenire. Lo Stato ebraico ha fatto molta attenzione a non trasformarsi in una parte in causa nella crisi siriana. D’altra parte Israele non è indifferente a quanto sta avvenendo, in quanto ha degli interessi nella regione nel senso più ampio del termine. In particolare se si permette ad Assad di continuare ad agire indisturbato come ha fatto finora senza che l’America intervenga, ciò potrebbe avere delle implicazioni negative non soltanto per la Siria ma anche per l’Iran. Gli iraniani stanno a guardare, e non si sono dimenticati del fatto che Obama aveva dichiarato che l’utilizzo di armi chimiche era la linea rossa che avrebbe fatto scattare un intervento. Se ora il presidente Usa scegliesse di non muovere un dito, Teheran trarrà la conclusione che può fare ciò che vuole per sviluppare il suo programma nucleare.
Fino a pochi mesi fa l’ufficio politico di Hamas aveva sede a Damasco, ma dal novembre scorso Assad ha espulso il partito palestinese dalla Siria. Non crede che il dittatore siriano meriti un atteggiamento più neutrale da parte di Israele?
L’unico motivo per cui Assad ha espulso Hamas è che il partito palestinese non sosteneva più il presidente. In Siria è in corso una guerra settaria tra sunniti e sciiti. Dal momento che l’intero mondo arabo-sunnita ha preso posizione contro Assad, anche Hamas non ha avuto scelta e ha dovuto schierarsi. Il partito palestinese è così sceso in campo con i ribelli siriani, e ciò gli ha fatto perdere il sostegno finanziario dell’Iran. Tutto va letto quindi nel contesto delle tensioni tra sunniti e sciiti.
(Pietro Vernizzi)