“Si alzi forte in tutta la terra il grido della pace”. Sono le parole di Papa Francesco in piazza San Pietro, dove il Santo Padre ha sottolineato come la fede è una “forza potente capace di rendere il mondo più giusto e più bello”. Ricordando l’appuntamento di sabato, Bergoglio ha spiegato che “vivremo insieme una speciale giornata di preghiera e digiuno, per la pace in Siria, nel Medio Oriente e nel mondo intero, anche per la pace nei nostri cuori”. Come sottolinea padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terrasanta a Gerusalemme, “più che possibile, la pace è necessaria e doverosa, bisogna quindi lavorare perché si possa costruire. Tutte le religioni devono contribuire a che ciò avvenga”.



Padre Pizzaballa, che cosa ne pensa dell’iniziativa del Santo Padre?

Siamo molto contenti e parteciperemo attivamente a questa giornata. In Medio Oriente preghiamo per la Siria già da molto tempo. Una giornata universale che coinvolga non solo i cattolici ma tutte le chiese e tutte le altre persone che lo desiderino, a prescindere dalla loro fede, rappresenta un momento di presa di coscienza molto importante. Il significato di questo invito del Papa consiste nel mettere tutto nelle mani di Colui che solo può toccare il cuore delle persone, cioè Dio.



Qual è il significato per il mondo, non soltanto cristiano, della proposta di una giornata di digiuno e di preghiera?

Il senso della Giornata indetta dal Papa è che certe situazioni si possono risolvere non certamente con la violenza, ma solo con la preghiera, con il dialogo e con il coinvolgimento di tutte le persone.

Quale sarà la risposta del mondo musulmano all’appello del Papa?

Come il mondo cristiano, così anche quello musulmano non è un monolite. Non si può dire quindi che cosa diranno o faranno i musulmani in quanto tale. La maggioranza delle persone semplici e moderate saranno contente di questa iniziativa e pregheranno come tutti per la pace in Siria. I fanatici da una parte e dall’altra vedranno invece tutto questo con astio e indifferenza. Bisogna quindi mettere da parte gli steccati tra cristiani e musulmani e partire dalla comune umanità di ciascuno lavorando insieme per il bene comune.



La pace in Medio Oriente è un fatto possibile o soltanto un’utopia?

E’ entrambe le cose insieme. Dipende poi da che cosa si intende per pace. Se si intendono le relazioni armoniche con tutti, è un obiettivo ancora molto lontano. A essere già una realtà sono invece le persone che pur essendo di fedi diverse vivono insieme e sperimentano l’amicizia.

 

La religione da causa di odio settario può trasformarsi in motivo di unità e di pace?

L’uso della religione nella guerra siriana è strumentale. Non si tratta soltanto di un conflitto confessionale, ma di uno scontro per il potere. Quando si usano le diverse fedi per questo scopo, a essere in questione non è più la religione in quanto tale ma è semplicemente il potere che monopolizza o manipola le fedi. Le religioni devono diventare da pretesto per il conflitto a luogo di incontro. Si è conclusa ieri ad Amman una conferenza tra tutti i capi religiosi cristiani e musulmani, che si è svolta sotto la guida della Corte hashemita di Re Abdallah II. Scopo del convegno è stato discutere che cosa possono fare le Chiese arabe e le comunità religiose in Medio Oriente per cambiare una certa percezione distorta delle fedi.

 

Nel momento in cui Assad sta vincendo la guerra, la possibilità della pace non rischia di allontanarsi all’orizzonte?

Più che possibile, la pace è necessaria e doverosa, bisogna quindi lavorare perché si possa costruire. La guerra in Siria non potrà durare in eterno, prima o poi deve finire. Non sappiamo né dove né quando, è per questo che dobbiamo pregare, smuovere le coscienze, fare prendere coscienza alla comunità internazionale di questo problema.

 

(Pietro Vernizzi)