I discorsi dei principali leader al summit del G20 a San Pietroburgo hanno mostrato in tutta la loro ampiezza le divisioni su una possibile azione militare in Siria. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha chiarito di opporsi a qualsiasi intervento in quanto destabilizzerebbe la regione. Mentre il presidente americano, Barack Obama, ha dichiarato che un’azione è necessaria per reagire all’utilizzo di armi chimiche da parte della Russia. “Permane in modo doloroso la divisione sulla Siria”, ha dichiarato il premier italiano Enrico Letta, ma “continueremo a lavorare perché questa divisione possa rientrare e per soluzioni che prediligano la via politica”. Ilsussidiario.net ha intervistato Carlo Curti Gialdino, professore di Diritto internazionale nell’Università La Sapienza di Roma.
Che cosa vuol dire per la comunità internazionale il fatto che il G20 non abbia permesso di superare le divisioni tra Usa e Russia sulla Siria?
Anche ammettendo che Assad abbia usato le armi chimiche il 21 agosto scorso, questo fatto non è di per sé sufficiente per consentire un’operazione “umanitaria” al di fuori dell’autorizzazione del consiglio di sicurezza dell’Onu. Anche lo stesso Kosovo, nonostante l’autorizzazione successiva delle Nazioni Unite, era un’operazione illegittima. Se l’intervento umanitario si giustifica con la necessità di mettere fine alla guerra civile, allora non si capisce perché in Libia dove la situazione era molto simile si sia intervenuti quasi subito e in Siria soltanto dopo due anni e mezzo. E l’unica risposta possibile è che in Libia, a differenza che in Siria, sono presenti ingenti giacimenti di petrolio.
Ci sono ancora margini per una trattativa o Obama ha imboccato un vicolo cieco?
Una trattativa è sempre possibile e auspicabile, perché prima di ricorrere alla forza bisogna trattare fino all’ultimo. La stessa scelta di Obama di chiedere un voto del Senato è un po’ una novità per gli Stati Uniti. Non ricordo che ci siano stati casi precedenti in questo senso. Dopo avere visto quanto è avvenuto nel Regno Unito, Obama si è adeguato a quella situazione. Di fronte a un no del Senato comunque Obama si troverebbe con le mani legate. La Costituzione degli Stati Uniti affida comunque l’ultima parola al presidente, e dunque quella di Obama si presenta come una mossa anomala.
In che modo si può uscire dall’impasse?
Una trattativa presupporrebbe che Assad si sieda con gli altri gruppi in un consesso internazionale. Va tenuto conto, anche per capire gli effetti che questo fatto può giocare nei confronti dell’opinione pubblica americana, che a combattere Assad ci sono anche gruppi legati ad Al Qaeda. Abbattere Assad presenta quindi il rischio di affidare il Paese in mano ad Al Qaeda.
Come valuta invece la posizione dell’Italia?
Quella dell’Italia è una posizione molto ortodossa, del tutto rispettosa delle regole del diritto internazionale. Quest’ultimo prevede che la forza possa essere utilizzata per legittima difesa, in attesa che il consiglio di sicurezza dell’Onu legiferi e prenda in mano la situazione. Se non c’è l’aggressione di uno Stato contro un altro, l’uso della forza richiede una risoluzione vincolante del consiglio di sicurezza dell’Onu, con un voto non negativo dei cinque membri permanenti. Il governo Letta si trova dunque in una posizione del tutto corretta, a differenza di quanto fece D’Alema nel 1999 quando andò al conflitto senza un voto del Parlamento, in contrasto con quanto afferma la nostra Costituzione.
Perché allora Letta ha firmato il documento in cui si afferma che le armi chimiche sono state usate da Assad?
Ciò non è in contraddizione con il fatto di non volere un intervento senza un mandato dell’Onu, in quanto evidentemente Letta ha visto le prove e le ha trovate convincenti. E’ una posizione di fatto, che non è per nulla in contrasto con le considerazioni di diritto che facevamo prima.
Dal punto di vista delle relazioni internazionali come ne esce l’Italia?
L’Italia non esce male da questa vicenda perché è in ottima compagnia, ha la stessa posizione di Regno Unito e Germania, che non hanno una linea ideologicamente favorevole alla Siria, come potrebbe essere la posizione russa o quella cinese, ma neanche una posizione interventista. Il fatto che l’Italia non sia più sorvegliata speciale, perché la procedura d’infrazione europea è stata chiusa, non ci autorizza a pretendere troppo. Sul piano internazionale però il governo Letta si è mosso in modo corretto, con la nostra Costituzione in una mano e la Carte delle Nazioni Unite nell’altra.
(Pietro Vernizzi)