Una giornata di preghiera nel campo profughi siriano di Marj el Kok, nel Sud del Libano, cui parteciperanno sia cristiani sia musulmani. Avsi ha risposto così all’appello del Papa, organizzando un’iniziativa nella tendopoli dove la ong italiana lavora ormai da oltre un anno. A Marj el Kok sono presenti civili siriani in fuga dalla guerra, e sabato pomeriggio cristiani e musulmani si incontreranno per pregare insieme. Avsi Libano offre ai rifugiati attività di accoglienza e distribuisce loro kit di igiene di primo soccorso, indispensabili in questi giorni in cui nel campo profughi ci sono 40 gradi e manca l’acqua. Svolge inoltre attività con i minori, anche perché più del 50% dei rifugiati nel campo sono bambini. Per finanziare queste attività, Avsi da tre mesi ha lanciato la campagna “10forSyria”. Finora sono stati raccolti 130mila euro e aiutate 13mila persone. Una somma ben lontana dei reali bisogni di Marj el Kok, anche perché presto riapriranno le scuole e ricominceremo le attività educative di Avsi. D’inverno inoltre in Libano la temperatura scende sottozero, e il campo profughi è composto da tende formate da stracci e plastica e dunque prive di qualsiasi comfort. Ilsussidiario.net ha intervistato Rana Najib, 34 anni, cristiana siriana, coordinatrice del progetto Avsi finanziato dall’Unicef nel campo di Marj el Kok.



Perché ritiene che la giornata di digiuno e di preghiera sia importante e significativa?

In quanto siriana, per me ha un grande significato e trovo molto toccante vedere così tante persone in tutto il mondo preoccupate per quanto sta avvenendo in Siria e pronte a pregare per il nostro Paese. La fase che stiamo attraversando è molto dura e difficile, e c’è bisogno degli sforzi di tutto il mondo perché possa ritornare la pace.



Quanto è importante la preghiera in questa fase del conflitto siriano?

Pregare e digiunare è indispensabile e molto toccante, ma c’è anche bisogno di azioni concrete da parte di quanti hanno la responsabilità di assumersi le decisioni e che si trovano in una posizione che consente loro di parlare al mondo ed essere ascoltati. Un intervento occidentale in Siria provocherebbe grandi sofferenze soprattutto tra i civili e in particolare tra le persone più povere, e non invece tra i potenti che sono al governo. Dopo due anni e mezzo di violenze, un attacco americano sarebbe una vera catastrofe e non si capiscono neppure le vere ragioni per cui sia stato pianificato.



Lei quali attività svolge nel campo profughi di Marj el Kok?

Sono responsabile dell’organizzazione delle attività educative per i bambini, oltre che di iniziative finalizzate alla loro protezione. Avsi si rivolge in particolare ai minori che non possono andare a scuola perché non hanno i soldi per pagare i mezzi di trasporto. Con Avsi ci preoccupiamo di mettere loro a disposizione i minibus per portarli a scuola. Teniamo inoltre delle lezioni e delle attività ricreative nei campi profughi, come giochi, danze e canti. Per un bambino che vive in una situazione così difficile, è importante anche trascorrere qualche momento sereno e di svago. Insegniamo inoltre loro inglese e francese, in quanto le lezioni in tutte le scuole libanesi si tengono in queste due lingue oltre che in arabo, e quindi molti bambini siriani non sono in grado di parteciparvi. Questi minori hanno inoltre bisogno di un sostegno psicologico e sociale, perché si trovano in un contesto molto difficile.

 

Per quale motivo lei è fuggita dalla Siria al Libano?

Non sono realmente fuggita dalla Siria. Dopo avere lasciato il lavoro nella mia città, Damasco, ho trovato una nuova occupazione qui in Libano. La mia quindi non è stata una vera fuga: una mattina sono salita da sola sulla mia macchina e ho guidato fino a Beirut lungo l’autostrada. Non ho avuto nessuna difficoltà ad arrivare in Libano. Ovviamente ho dovuto attraversare alcuni checkpoint dell’Esercito regolare siriano, ma mi è bastato mostrare la mia carta d’identità. Ogni due o tre weekend torno a Damasco per andare a trovare i miei genitori, in quanto l’autostrada da Beirut è ancora molto sicura. La situazione è però molto diversa in altre parti della Siria, per esempio chi vive ad Aleppo deve affrontare ogni giorno delle enormi difficoltà.

 

(Pietro Vernizzi)