Il ministro della Difesa, Mario Mauro, insieme al ministro degli Esteri, Emma Bonino, in queste ore incarna la difficile mediazione italiana per scongiurare un intervento occidentale in Siria. Una mediazione che a margine del G20 ha portato 11 Paesi, tra cui appunto l’Italia, a firmare un documento in cui si condanna Assad, ma si chiede di lavorare a una soluzione politica della crisi. Per il ministro Mauro, “l’obiettivo del documento è cercare una soluzione politica che coinvolga Stati Uniti e Francia. Non condivido quanti affermano che il G20 sarebbe stato del tutto fallimentare. Grazie anche al ruolo dell’Italia si sta diffondendo quel contagio di ragionevolezza che ha portato Francia e Gran Bretagna a riconsiderare le loro posizioni”.
Ministro Mauro, c’è chi ha criticato la posizione italiana affermando che si presta a letture ambivalenti. Lei che cosa risponde?
Il documento sulla Siria apre a una soluzione politica, ed è significativo che sia stato firmato anche da chi rivendica il diritto a intervenire con le armi come Stati Uniti e Francia. La posizione che l’Italia ha assunto finora può essere considerata un risultato positivo, in quanto il documento sottolinea che non c’è una soluzione a disposizione per la Siria che non venga da un negoziato.
Per quali motivi?
Dobbiamo tenere conto del coinvolgimento in Siria di Iran, Hezbollah, Arabia Saudita e Qatar, del flusso di profughi che ha destabilizzato il Libano e messo in ginocchio la Giordania, dei legami tra l’Esercito siriano libero e la Turchia, nonché del problema della sicurezza di Israele.
Quali altri elementi sono fondamentali per comprendere la reale situazione?
Non vanno sottovalutati l’inasprimento del conflitto attraverso l’uso delle armi, il fatto che siano messi in discussione gli interessi russi nell’area e la presenza nell’opposizione di gruppi jihadisti come Jabhat al-Nusra e la guerriglia cecena. Tutto ciò descrive uno scenario che può essere ricondotto alla ragione solo da una soluzione politica.
Come valuta il fatto che ieri la Germania ha deciso di firmare il documento sottoscritto da 11 Paesi tra cui l’Italia?
Nel corso del Consiglio Ue informale che si è tenuto a Vilnius con i 28 ministri della Difesa, ne ho discusso con il collega tedesco Thomas de Maizière e mi sono reso conto che la posizione italiana e quella tedesca coincidono. Ritengo un passo avanti il fatto che la Francia, pur mostrandosi sempre inflessibile sull’intervento, a cavallo della firma del documento si sia aperta alla posizione italiana aggiungendo che anche Parigi si muoverà eventualmente solo all’indomani della pubblicazione del rapporto dell’Onu.
La nave Andrea Doria è salpata da Taranto con l’obiettivo di difendere i militari italiani in Libano?
Una nostra nave si trova in acque internazionali di fronte alla costa del Libano con l’intento di fornire maggiore protezione e maggiori capacità operative al nostro contingente presente in Unifil. La missione Onu ha lo scopo di monitorare e contribuire alla separazione tra Israele e Hezbollah nella zona a sud del fiume Litani. E’ una missione che dovrebbe continuare anche se si inasprissero gli elementi del conflitto siriano, perché sarebbe una iattura per il Libano e per la pace perdere anche il presidio di quell’area e rendere possibile lo scontro tra Israele e Hezbollah.
Per Ezio Mauro si può aderire all’appello del Papa, ma un ministro è tenuto innanzitutto a prendere decisioni politiche. Che cosa risponde?
Non c’è contraddizione tra il mio ruolo di ministro e la partecipazione al richiamo spirituale o religioso dell’appello del Papa, così come pure con la condivisione delle valutazioni di carattere culturale, sociale, storico e politico espresse dalla Santa Sede sul caso siriano.
Aldo Cazzullo nel suo recente editoriale su Corriere ha scritto che l’auspicio del Papa è condivisibile, ma in Siria è già in corso una guerra e occorre fermarla. Lei che cosa ne pensa?
Bisogna capire se il cosiddetto “intervento punitivo” ha la capacità di contenere la spinta del regime di Assad oppure inasprirebbe il conflitto stesso e renderebbe meno probabile l’apertura di una soluzione politica. Non si fanno quindi discussioni di carattere ideologico e di principio, ma si cerca faticosamente di arrivare alla pace.
E’ vero che il G20 è stato un fallimento?
Non condivido la lettura di quanti affermano che il G20 sarebbe stato del tutto fallimentare. E’ stata una circostanza in cui i Paesi con grande franchezza si sono detti come la pensano, e questo vuol dire che nella comunità internazionale è in corso una riflessione su un problema che prosegue da due anni. A maggior ragione ciò vuol dire che qualcosa si sta muovendo, ma bisogna essere pazienti e moltiplicare gli sforzi.
Quale evoluzione si attende e che cosa può fare l’Italia?
L’Italia sta già facendo molto, perché la posizione che ha tenuto finora ha determinato quel contagio di ragionevolezza che è sembrato ispirare negli ultimi giorni sia la riflessione in Gran Bretagna sia la riconsiderazione da parte francese dei passi da seguire per approdare a una soluzione. Il Paese da cui dipendono i destini del mondo rimangono gli Stati Uniti, e da questo punto di vista anche il dibattito che sta avvenendo in America in questi giorni mi sembra che sia fecondo.
(Pietro Vernizzi)