“Mi scusi, Lei è il Presidente qui, vero? Bello sa, ho seguito tutto quello che ho potuto. Non è il suo mestiere? Allora questa è un pò la sua eredità, no?”. Di tutte le cose che mi ricordo del New York Encounter dell’anno scorso, di tutte le persone incontrate, questo è il momento che mi è rimasto più impresso. In piedi al freddo, sulla 35ma Strada a fumare una sigaretta tra una cosa e l’altra, mi trovo fianco a fianco con una “Security Guard”, uno di quei piantoni che se ne stanno fissi come pali della luce ad ogni angolo del Manhattan Center dall’inizio alla fine dell’evento. Ci stanno per legge e per obbligo contrattuale, non per altro. È il loro lavoro. Non è previsto – nè tantomeno richiesto – che si interessino a quel che succede in sala. Se una Security Guard resta affascinata da quello che chiameremmo un evento culturale vuol proprio dire che durante questi weekends che ormai da cinque anni riproponiamo a metà gennaio, c’è una vita. Ci sono dei volti, ci sono delle persone, e c’è un popolo, c’è qualcosa di gioioso nell’aria che introduce misteriosamente un semino di speranza nel cuore… Ah, la retorica! Quante volte negli ultimi quarant’anni ho detto queste cose … Ma se sono vere, perché non ripeterle? Se il New York Encounter porta un briciolo di umanità nuova in questa città ed in questo paese, perchè non continuare?
Cosi continuiamo e da venerdi a domenica ci troveremo nel mezzo di un vortice di avvenimenti, conferenze, mostre, spettacoli. Come dico sempre, una specie di “piccolo Meeting di Rimini in una città decisamente più grande di Rimini”. La prima cosa incredibile, prima ancora della ricchezza di personaggi ed eventi che riempiranno queste giornate, è che ce l’abbiamo fatta un’altra volta! Non è facile, non è per niente facile. “Nulla di grande cresce come le patate” diceva Peguy. E noi siamo una cosa piccolissima in una terra di giganti.
“Il tempo della persona, le origini di un popolo”. Questo è il tema, ma questa è anche la dinamica che accompagna il gruppettino che ci lavora su tutto l’anno, una decina tra giovani e vecchi. Ed è anche quello che sperimentano gli oltre 250 volontari che arrivano da ogni parte degli States e, a Dio piacendo, le migliaia che affollano il Manhattan Center. Almeno un po’! Uno fa il passo, viene, ed è come se l’estraneità fosse sconfitta.
Puoi anche non conoscere nessuno, eppure è come se tutto fosse familiare. Anche il visitatore più distratto, o quello intimorito dai grandi nomi o da parole cui non è abituato, troverà qualcosa. Non si può venire al New York Encounter e tornare a casa senza niente di nuovo nel cuore. È la speranza. Chi viene al NY Encounter non può non sbattere il naso contro la Speranza. Magari non saprà spiegarlo a parole, ma il cuore sussulta. Saranno le centinaia di giovani, sarà la bellezza delle cose. Tutto mette Speranza. Poi starà alla libertà di ognuno decidere cosa farsene. E questo vale anzitutto per me.
Io faccio il New York Encounter e l’aspetto con gioia proprio per questo. Perché, come scrisse anni fa Don Giussani ai pellegrini di Loreto, la compagnia, il popolo, ti strappa dal niente in cui affogheresti. E rifiorisci. Noi siamo i pellegrini di New York. Io sono il pellegrino di New York, perché io non so fare niente. Da solo, senza la compagnia del Mistero che mi porta per mano, non esisterei. Invece sono e faccio.
E se tra il Cardinal O’Malley, Palous, Noughton, Noguera, Fr. Samir, Hadjaji, Veras, Schindler, Hendra, Fr. Carron, Horowitz, Msgr. Albacete, Fr. Cameron, Flatto, Scholz, Fields, Medina, il Nunzio Viganò, Lou Marini e tutti gli altri dovessi dimenticarmi cosa sia tutta questa cosa che abbiamo messo su, ci penserà una Security Guard a ricordarmelo. Venite a vedere.