“Dal conflitto in corso in Thailandia dipende il futuro dell’economia nell’intera Asia e quindi in tutto il pianeta. La stampa occidentale non ha compreso che il governo di Yingluck Shinawatra rappresenta la democrazia e il capitalismo ed è sostenuto dalla maggioranza della popolazione, mentre i manifestanti stanno cercando di attuare un colpo di Stato anti-democratico”. Lo afferma Francesco Sisci, giornalista, consulente per l’ufficio del premier della Thailandia, a proposito dello scontro di potere in atto. Forse per la prima volta nella storia, i manifestanti sono scesi in piazza non per chiedere nuove elezioni, bensì per domandare un loro rinvio. Le consultazioni sono previste per il 2 febbraio e con ogni probabilità Yingluck Shinawatra vincerà, ma i dimostranti chiedono che il premier sia sostituito da un “Consiglio del Popolo” non elettivo. Il fratello del premier, Thasin Shinawatra, è stato una figura politica molto influente in Thailandia e attualmente si trova in esilio dopo essere stato spodestato dai militari, ma il suo partito è riuscito comunque a vincere le ultime elezioni.



Qual è il vero significato dello scontro in atto in Thailandia?

A confrontarsi sono due schieramenti molto diversi tra loro. Da un lato ci sono la vecchia borghesia e l’aristocrazia alleate con l’apparato burocratico, dall’altra un nuovo ceto medio e una nuova classe imprenditrice. La sfida sociale ed economica si è quindi trasformata in uno scontro politico. La classe media emergente rappresenta la maggioranza della popolazione tailandese. Se si va quindi alle elezioni usando lo strumento della democrazia, quest’ultima uscirà vincitrice. Nello scontro politico quindi la vecchia aristocrazia e la vecchia borghesia, per difendere i loro interessi, pensano di saltare il sistema democratico con il quale non possono vincere.



Lei vuole dire che i manifestanti sono anti-democratici?

Esattamente, anche se a essere in gioco non è soltanto la democrazia. Le nuove classi sanno che se si abolisce la democrazia, il benessere portato dalle riforme di Thaksin, fratello dell’attuale premier Yingluck Shinawatra, è a rischio. E’ una lotta per la sopravvivenza in una vera fase di trasformazione sociale ed economica del Paese. A rendere la questione tailandese estremamente importante è il fatto che Thaksin è riuscito a dare alla Thailandia nuova ricchezza, nuove prospettive di crescita e democrazia. Se questo viene sconfitto, sono compromesse anche le possibilità della crescita di un’economia liberale, di un modo di arrivare alla ricchezza attraverso il microcredito, cioè dell’elevazione sociale attraverso un uso oculato degli strumenti del capitale.



Ciò avrebbe effetti anche sui Paesi vicini?

La vera questione è che il capitalismo e la democrazia riescono a portare la ricchezza alle masse. Se questo sviluppo è sconfitto in Thailandia, c’è il rischio di un effetto domino in tutta l’Asia, cioè in tutta quell’area che rappresenta il 60% del pianeta. Se il capitalismo e la democrazia non si difendono in Thailandia dove esiste già, diventa impossibile farlo avanzare là dove non c’è o è ancora agli inizi, come in Birmania, in Cina e in Indonesia. Tutto il continente è a rischio, e la Thailandia è il campo di battaglia di questa lotta, così come il Vietnam fu il campo di battaglia tra socialismo e democrazia negli anni ’60 e ’70. Allora però il presidente Nixon riuscì ad aggirare il problema vietnamita portando la Cina sul campo della democrazia, un’operazione che oggi non è però riproponibile.

 

Perché, a differenza degli anni ’60 e ’70, oggi la partita non si gioca più in Cina ma in Tailandia?

La Cina sta già avanzando su un terreno di democrazia e di sviluppo. Oggi Pechino attraverso il suo ministero degli Esteri ha preso posizione a favore del processo democratico in Thailandia e contro le manifestazioni. Nonostante le riforme adottate in Cina negli ultimi anni, se la democrazia è sconfitta in Thailandia i dirigenti cinesi prenderanno le loro misure. Cominceranno infatti a non credere nel valore della democrazia e nel fatto che l’Occidente sia veramente disposto ad appoggiarla fino in fondo. La stampa occidentale in generale finora è stata abbastanza critica nei confronti di Yingluck Shinawatra, anche se l’altro giorno c’è stato un editoriale piuttosto importante sul Washington Post, che ha preso posizione contro i manifestanti definendoli chiaramente anti-democratici. Ciò rappresenta una dichiarazione chiara di una parte dell’establishment americano a favore del processo democratico.

 

(Pietro Vernizzi)