Sabato pomeriggio a Kiev, il mio amico Alesha ci porta in piazza Maidan e racconta che qui da più di 50 giorni centinaia di migliaia di persone come lui, provenienti da tutta l’Ucraina, manifestano pacificamente per chiedere al governo leggi che rispettino la libertà e i diritti fondamentali dell’uomo. Ci sono nazionalisti, studenti, giornalisti, gente comune scesa in piazza il 24 novembre scorso per esprimere la loro disapprovazione per le manovre di allontanamento dall’UE da parte del governo ucraino. Lo vediamo con i nostri occhi: alla violenza del potere, che sta tornando ad essere un regime dittatoriale (la polizia ha cominciato a reprimere con la violenza la manifestazione pacifica, attaccando studenti, donne, giornalisti…), il popolo risponde con la propria presenza nella “piazza dell’indipendenza”, meglio nota come Maidan.



È una sorta di piccola repubblica dentro la città, circondata dalle barricate per impedire l’entrata alle forze speciali di polizia e cosparsa di tende militari dove le persone dormono, mangiano, pregano, festeggiano il Natale, vivono. Al centro della piazza della capitale ucraina c’è una grande tenda, nella quale ci invitano ad entrare. All’interno é stata allestita una chiesa, dove si celebra la messa secondo il rito ortodosso e dove persone di diverse confessioni religiose possono pregare insieme. Poco distante c’è un grande presepe in legno, costruito –ci racconta il nostro amico- da una ragazza che dipinge icone e ha rinunciato ad un’offerta di lavoro per potersi dedicare alla realizzazione del presepe, per la prima volta nella storia posto in Piazza Maidan. Alesha indica un altro angolo della piazza, esclamando: “Lì c’è Liza!”, una ragazza di 27 anni, malata di paralisi cerebrale infantile, che dopo anni di vita segnata da profondo dolore e solitudine, è diventata una dei più noti protagonisti della manifestazione di Piazza Maidan, dove lavora aiutando nelle cucine. Intervistata lo scorso dicembre, Liza affermava: “Solo qui, per la prima volta, ho sentito di avere un grande valore e mi sono sentita voluta, amata”.



Il nostro amico ci mostra in piazza Maidan la vita di persone comuni, ma eccezionali: arrivano da tutto il paese e si fanno sostituire da amici o parenti quando devono andarsene per tornare al lavoro, così da assicurare una presenza costante sulla piazza, vietano nella piazza il consumo di alcool per provare a costruire una convivenza civile (non si concedono nemmeno un goccio di vodka per riscaldarsi, mentre la temperatura scende a -12 gradi), organizzano corsi all’aperto per gli studenti che per manifestare non frequentano le lezioni in università, preparano da mangiare gli uni per gli altri… Tutto questo -ci spiega- non resiste da oltre 50 giorni soltanto in forza della volontà di avvicinamento all’Europa, ma perché, pur appartenendo a partiti diversi e avendo opinioni differenti, la gente è unita in Piazza Maidan nell’affermare il proprio desiderio di giustizia, verità e libertà. Di vita insomma.



 

A questo il governo sta rispondendo con la repressione e negli ultimi giorni la tensione ha raggiunto livelli altissimi, dopo l’entrata in vigore di alcune leggi di orientamento dittatoriale, approvate dai deputati del parlamento il 16 gennaio, in pochi minuti e per alzata di mano. Da ieri le manifestazioni pubbliche sono infatti considerate illegali e i manifestanti rischiano di essere arrestati della polizia, con la quale si stanno scontrando violentemente. Molte persone sono rimaste ferite e alcune sono morte. In poche ore è scoppiata una violenta guerriglia che potrebbe non cessare fino a quando il Presidente non deciderà di rivedere le recenti decisioni prese. La situazione è piuttosto complicata e non è questa la sede per esprimere un giudizio politico o fare ipotesi sugli scenari futuri. Possiamo però lasciare che nella nostra frenesia quotidiana si apra un piccolo spiraglio per guardare, per accorgerci che a pochi chilometri da casa nostra, ci sono Alesha e Liza, e con loro un popolo di migliaia di persone testimonia che non si può vivere senza affermare la verità.

 

Laura Ferrari

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