La Tunisia ha inserito nella Costituzione la parità di genere, con un articolo destinato probabilmente a segnare la storia nell’evoluzione dei diritti all’interno del mondo islamico. Uomo e donna, dunque, “hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Sono uguali davanti alla legge senza alcuna discriminazione”. Il risultato è stato possibile grazie al compromesso tra i partiti laici di opposizione e il partito islamista Ennahda. Dove va dunque la Tunisia? “Noi tunisini stiamo ancora imparando che cosa voglia dire vivere in una democrazia e la strada sarà lunga. La nostra società, e soprattutto i nostri giovani, hanno però gli anticorpi necessari per opporsi al radicalismo islamico e a un ritorno della dittatura”. Kamel Morjane è un politico di lungo corso presente sulla scena tunisina dalla fine degli anni 70. E’ stato ministro degli Esteri e della Difesa, ha guidato le missioni Onu durante le guerre del Ruanda e del Kuwait e attualmente è fondatore e leader del partito Al Moubadara. Dopo la rivoluzione che il 14 gennaio 2011 ha abbattuto il dittatore Zine El-Abidine Ben Ali, in Tunisia si sono succeduti i premier Hamadi Jebali e Ali Laarayedh, entrambi del partito islamista Ennahda. L’incapacità di risolvere le difficoltà economiche del Paese ha portato prima Jebali e poi Laarayedh alle dimissioni. Dopo mesi di stallo, come è noto, alla fine di dicembre scorso i partiti hanno trovato un nuovo accordo sul premier tecnico Mehdi Jomaa. Ilsussidiario.net ha parlato con Morjane di come sta cambiando il paese.
Morjane, da dove nasce l’instabilità politica che agita la Tunisia dalla caduta di Ben Ali?
La Tunisia sta attraversando una situazione e un’esperienza nuove, in quanto non siamo abituati alla vita democratica e per almeno 60 anni abbiamo avuto un regime presidenziale. Oggi ci troviamo in una democrazia parlamentare e il contesto è cambiato radicalmente. Il risultato è che i nostri partiti stanno ancora imparando come funzioni il nuovo sistema politico.
Che cosa ne pensa della scelta del nuovo capo del governo?
Dopo lunghe trattative, alla fine siamo riusciti alla fine a trovare una soluzione, e c’è una significativa maggioranza che sostiene il nuovo premier Mehdi Jomaa. Sono certo del fatto che anche coloro che non sono favorevoli, comprenderanno che è nell’interesse nazionale fargli delle concessioni e lavorare con lui.
Come valuta il ruolo che l’islam gioca oggi nella politica tunisina?
I 160 partiti presenti oggi sulla scena tunisina si dividono soprattutto per la loro idea di società, e non sui temi più propriamente politici o economici. E’ essenzialmente questo il problema costituito dal principale partito islamista, Ennahda. Dall’indipendenza della Tunisia nel 1956, il primo presidente Habib Bourguiba ha fatto molto per permettere che si sviluppasse una società moderna e aperta. La sua idea era quella di guardare all’Europa per adottare anche in Tunisia gli stessi principi di separazione tra politica e religione.
Eppure alle ultime elezioni Ennahda ha ottenuto la maggioranza relativa …
Ennahda è un partito politico con delle chiare tendenze islamiste, e questo è un fatto che ci preoccupa e rispetto a cui ci differenziamo. Noi invece vogliamo uno Stato sul modello europeo, dove la religione è una questione individuale e privata che riguarda ciascuno di noi. La Tunisia è un Paese islamico e arabo, ciò compare nella nostra Costituzione, ma le istituzioni dello Stato in quanto tali devono essere laiche.
I tunisini sono sufficientemente maturi per riuscire a liberarsi dall’egemonia politica da parte di Ennahda?
Guardi, non credo che Ennahda abbia una posizione egemonica. Non so quale risultato otterrà alle prossime elezioni, ma sono certo del fatto che non riuscirà ad avere la maggioranza nel Paese. Oggi Ennahda è al governo grazie al sostegno di altri due partiti laici di centrosinistra. La mia previsione è che alle prossime elezioni politiche alla fine del 2014 nessun partito riuscirà ad avere la maggioranza da solo, e nessuno sarà dunque nelle condizioni di comandare da solo. I due principi su cui ritengo che si debba fondare la vita politica nel futuro del Paese sono del resto il rifiuto sia di posizioni egemoniche sia di ogni estremismo.
Se nessuno vincerà le elezioni, sarà impossibile formare un nuovo governo?
No, in quanto buona parte dei partiti politici tunisini oggi sono molto vicini tra loro dal punto di vista ideologico, e nel nostro Paese le posizioni “centriste” sono più forti che altrove. Sono certo quindi che anche dopo le elezioni riusciremo ad avere una maggioranza ed eviteremo i rischi di un vuoto politico.
Il New York Times ha documentato il jihadismo dei giovani tunisini che vanno a combattere in Siria. Da dove nasce questo fenomeno?
E’ un fenomeno che esiste ma che non va esagerato. Il rischio riguarda in particolare quanti ritornano in Tunisia dopo essere stati reclutati dai movimenti del terrorismo internazionale, e ciò sarà certamente uno dei principali problemi con cui il futuro governo dovrà avere a che fare, per evitare che queste persone si trasformino in una minaccia per il Paese.
Lei in passato ha avuto un ruolo importante all’interno dell’Onu. Quale soluzione ritiene che debba essere ricercata per la Siria?
Sappiamo tutti che in Siria la guerra non può essere la soluzione, come non lo è per nessuno dei problemi politici che un Paese si trova ad affrontare. Dobbiamo percorrere la strada del dialogo, e spero che il vertice di Ginevra 2 darà l’opportunità a tutti i partiti siriani e alle potenze straniere coinvolte nella conferenza di trovare un accordo basato sul consenso politico. Questa è una strada percorribile, e quando vedo tutti i disastri provocati dal conflitto siriano ritengo che fin dall’inizio si dovesse cercare una soluzione pacifica. Ciò è particolarmente vero se si pensa al ruolo strategico che la Siria gioca in Medio Oriente.
Alla luce di quanto sta avvenendo in Siria, ritiene che la Primavera araba sia stata un fallimento?
Dopo la Primavera araba non si può più tornare al passato. L’intero Medio Oriente sta cambiando, e spero che questa evoluzione assuma sempre più dei connotati pacifici. Sono convinto che se noi tunisini riusciremo a completare il nostro processo democratico, ciò sarà un esempio positivo per il resto della regione. Sia la Tunisia sia il Medio Oriente oggi si trovano in una situazione nuova, e ritengo che i Paesi arabi debbano smettere di considerarsi un’entità separata rispetto al resto del mondo.
(Pietro Vernizzi)