“Sarà una campagna molto lunga. Ci saranno periodi in cui si faranno progressi e periodi in cui ci saranno battute d’arresto”. Sono le parole di Barack Obama, che nel 2008 vinse la campagna contro lo sfidante John McCain grazie anche alla promessa di un ritiro in tempi rapidi dall’Iraq. Ora l’avanzata dell’Isis, nota anche come Daish, ha capovolto la prospettiva e Obama lo ha dovuto constatare di fronte al vertice di guerra della coalizione di Stati che combattono al-Baghdadi in Siria e Iraq. Sempre ieri si è riunito a Roma il Consiglio supremo di sifesa, che di fronte al presidente Napolitano e al premier Renzi ha osservato: “La pressione militare dell’Isis in Siria e in Iraq implica rischi rilevanti per l’Europa e per l’Italia”. Per Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali (CeSi), più ancora della minaccia di Isis dovrebbe preoccuparci quanto sta avvenendo in Libia, separata dall’Italia da un braccio di mare ma legata a noi da interessi strategici vitali.
In che modo l’Isis è attualmente in grado di minacciare i Paesi europei?
L’Isis per il momento non può in alcun modo minacciare nessun Paese europeo, se non attraverso attacchi terroristici. Certo, nel momento in cui l’Isis dovesse diventare una realtà dominante in un nuovo soggetto politico che si estenda in metà della Siria e in parte dell’Iraq, ciò va a riscrivere la geografia del Medio Oriente.
Quindi?
La conseguenza sarebbe quella di avere un attore regionale che avrebbe la violenza come agenda politica. Ma soprattutto l’Isis possiede il petrolio, opera delle pressioni sulle minoranze, e quindi è in grado di esportare il terrorismo.
Per l’Italia è più delicato il fronte libico o quello siriano-iracheno?
Indubbiamente il primo. La Libia è un fronte strategico per gli interessi dell’Italia, in quanto si affaccia proprio di fronte a noi sull’altra parte del Mediterraneo. Dalla Libia partono inoltre importanti approvvigionamenti energetici per il nostro Paese. Tripoli è sempre stato un partner importantissimo per l’Italia e un vuoto di potere in Libia non può che produrre perplessità e preoccupazione a Roma.
Che cosa può fare l’Italia per “prevenire l’ulteriore destabilizzazione della Libia”, come raccomanda il Consiglio supremo di difesa?
Ho dei dubbi che la Libia possa essere destabilizzata più di quanto lo è già. L’Italia può però cercare di rafforzarne le componenti non islamiste, supportando chi vuole una Libia unita e non un’entità jihadista o spaccata in tribù.
Obama ha dichiarato che quella contro l’Isis “sarà una campagna molto lunga”. Lei che cosa si aspetta?
Chi si immagina che le guerre siano dei videogame che durano pochi giorni perché l’attenzione dei media vuole spostarsi da qualche altra parte farebbe meglio a comprarsi una playstation. Le campagne terminano quando sono stati conseguiti i risultati che ci si era prefissati o quando si verifica che è impossibile ottenerli.
Saranno sufficienti i raid aerei per sconfiggere l’Isis o sarà necessario un intervento di terra?
Non è al momento immaginabile un intervento di terra da parte di nazioni occidentali. Deve però essere chiaro che gli interventi via aria non saranno sufficienti.
C’è una terza via?
Occorre rimettere in piedi l’esercito irakeno nel modo più rapido possibile. Questa è l’unica speranza per l’Iraq. Mentre in Siria Bashar al-Assad non sarà comunque in grado di riempire il vuoto lasciato dall’eventuale ritirata dell’Isis provocata dai bombardamenti delle forze occidentali.
Come valuta la politica della Turchia nei confronti dell’Isis?
Tutti i Paesi del Medio Oriente e tutti i soggetti interessati non stanno dando una risposta univoca alla minaccia dell’Isis. L’agenda politica nei confronti dell’Isis è a tutt’oggi dominata da interessi nazionali.
L’Iran può essere un alleato dell’Occidente nella lotta contro Daish?
Conto veramente sul fatto che ciò possa avvenire. Spero che un giorno qualcuno riapra gli occhi e si renda conto del fatto che con l’Iran occorre parlare e ristabilire un dialogo chiaro. L’Iran fa la sua partita come tutti i Paesi del Golfo, ma avere un atteggiamento manicheo nei confronti di Tehran non può essere che dannoso.
Che cosa ne pensa della mozione del parlamento britannico a favore della creazione di uno Stato palestinese?
Dopo decenni di totale empasse, qualcuno deve cercare per forza di sparigliare per ottenere un risultato. E’ ormai giunto il momento di attuare una politica di “due popoli due Stati”, altrimenti non si va da nessuna parte né per Israele né tantomeno per i palestinesi. Una presa di posizione del Regno Unito in questa direzione cambierebbe moltissimo. Non ci sono però le condizioni affinché in modo unilaterale una nazione europea possa considerare la Palestina come uno Stato unitario, dal momento che gli stessi palestinesi al loro interno fino a questo momento non hanno trovato un’agenda comune.
(Pietro Vernizzi)