“Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente”. Questo aforisma di Indro Montanelli calza a pennello per la tematica che ha in questa nota una spiegazione introduttiva: mi riferisco ai torbidi anni ‘70 dell’Argentina della dittatura militare. All’inizio di settembre è spirato a Florianopolis, Brasile, Hector Ricardo Leis, un emerito professore (con cattedre in sociologia, matematica, psicologia, filosofia, scienze politiche e relazioni internazionali) in varie università sia di Buenos Aires che del Brasile. Ma più in là di questo curriculum, la sua figura ha una rilevanza notevole per aver militato, negli anni ‘70, nel movimento rivoluzionario Montonero, un’organizzazione armata che seminò il terrore nell’Argentina di quella decade con un altro gruppo, denominato Erp (Ejercito revolucionario del pueblo), accelerando un processo già in atto che portò alla genocida dittatura militare con un golpe effettuato nel 1976.
Leis, fin dal momento della sua fuga in Brasile, prese le distanze da quella guerriglia e fu il capostipite di un processo di revisione di quell’epoca che lo ha portato alla notorietà per il successo dei suoi libri dedicati a questo tema: “Un testamento degli anni ‘70” e “Memorie in fuga”. Nei quali si mette in risalto il pentimento personale non tanto per le scelte legate a un’epoca, quanto per il dolore causato a tante persone innocenti, dovuto a quella che lui definisce una pazzia che poi ha generato la tragedia.
Parliamoci chiaro: quella degli anni Settanta fu in Argentina una guerra civile che precipitò il Paese nel caos e che scoppiò a causa della frantumazione del peronismo dovuta al ritorno del Generale nella sua terra dopo anni di esilio nel 1973. Sebbene militare, l’ascesa di Peron al potere ottenne un sostegno unico nel suo genere: quello di una classe operaia che vedeva in lui la figura utile alla realizzazione di una stagione di riforme e di giustizia che effettivamente avvenne. Complice anche la spinta economica dovuta al dopoguerra in Europa e la ricchezza agricola argentina, che fece confluire al rio de La Plata capitali ingentissimi, iniziò un processo di trasformazione con al centro le classi più umili.
L’attuazione di leggi scritte anni prima dal socialista Palacios, gli investimenti nel campo industriale e, soprattutto, dell’istruzione misero in secondo piano il rovescio di questa luccicante medaglia: la dittatura, con l’esclusione di chi non aderiva al pensiero unico. Con la regia di Raul Apold, un giornalista precursore di tecniche di comunicazione di massa, venne montato uno scenario mediatico fedele al principio di mussoliniana memoria (cosa ripresa anche da Goebbels) che “Una bugia ripetuta 20 volte si trasforma in una realtà”. Nacque così il mito del peronismo alimentato soprattutto da una figura dotata di indubbie potenzialità: l’ex attrice Evita Duarte, seconda moglie del Generale.
Lo Stato si impossessò di ampi settori dell’economia, gestendola senza logiche di sviluppo e basando il reclutamento più in base alla tessera del partito che all’effettivo merito. In poche parole, l’instaurazione di un regime simile a quello italiano tanto amato da Peron nel suo lungo soggiorno nella penisola, dato che occupò negli anni ‘30 la carica di addetto militare presso l’Ambasciata argentina di Roma.
Il golpe militare che destituì Peron nel 1955 denominato “Revolucion Libertadora” costituisce secondo alcuni il più tragico errore della storia argentina, perché sebbene accolto entusiasticamente dalle forze politiche antiperoniste, di fatto avvenne in un periodo nel quale il regime iniziava a perdere colpi, non a causa della sua apertura nei confronti dell’ex Urss, bensì per una congiuntura economica mondiale che ebbe ripercussioni fortissime nel Paese privando lo Stato degli immensi fondi necessari al mantenimento del modello economico. Che avrebbe portato il peronismo in una crisi probabilmente senza ritorno: invece così in pratica si “congelò” l’immagine di un regime che aveva portato ricchezza, generando un pericolosissimo ricordo che venne strumentalizzato dall’ex dittatore nel suo esilio di Madrid.
Ma il personaggio che fece ritorno nel 1973 con un volo Alitalia nella sua Argentina non aveva nulla a che vedere con quello che era partito, anzi era esattamente l’opposto. Pur se l’organizzazione dei Montoneros, ancora schieramento politico, fu elemento determinante del suo ritorno e si credette l’unica in grado di ereditare il suo potere – dato che Peron l’aveva appoggiata finanziandola, nell’intero Continente latinoamericano, minacciato dall’influenza sovietica che aveva le sue basi a Cuba; stava infatti prendendo corpo un feroce piano repressivo denominato Condor, sviluppato dagli Stati Uniti e con l’appoggio di parte di alcuni settori della Chiesa. Ad aggiungersi venne anche la sinistra influenza che il maggiordomo di Peron (al cui fianco, una volta morta Evita, c’era Isabelita Martinez) ebbe inizialmente sulla moglie, circuita con rituali esoterici: il tristemente noto Lopez Rega, uomo di fiducia della Loggia P2, che di fatto la introdusse riuscendo a plagiare anche il Generale.
Chi sperava nel peronismo degli anni ‘40 venne deluso totalmente, al punto che in un famoso discorso avvenuto il 1 maggio del 1973, dopo la vittoria nelle elezioni e il suo ritorno al potere, Peron definì la sinistra del suo movimento “un gruppo di stupidi”, provocando il ritiro delle frange montonere dalla Plaza de Mayo e il passaggio di questa e altre fazioni alla lotta armata. Decisione, quella peronista, altamente “annunciata”, specie dopo quello che venne definito il “massacro di Ezeiza”, dove frange della destra iniziarono a sparare contro la massa di gente che era accorsa all’aeroporto di Buenos Aires per salutare il ritorno del Generale.
Fu l’inizio dello sfascio e di una vera e propria guerra civile acuitasi dopo la morte di Peron (avvenuta il 1 luglio del 1974) e la presidenza assunta dalla moglie Isabelita. In poco tempo l’Argentina venne dilaniata da questa guerra che provocò la morte di 1.088 innocenti, uccisi dai guerriglieri nel corso delle loro azioni. Vittime al di fuori degli assalti alle caserme e a alle istituzioni militari, quindi di vere azioni di guerra, che eleverebbero notevolmente il numero dei caduti.
La reazione fu ancora più feroce e portò, dietro anche un iniziale appoggio politico dei partiti, dapprima alla creazione di una sinistra organizzazione paramilitare fondata da Lopez Rega, divenuto nel frattempo l’uomo di potere, chiamata Aaa (Alianza anticomunista argentina), che diede inizio alla sparizione di persone, poi al golpe del 24 marzo del 1976 che portò al potere la dittatura militare più genocida del dopoguerra. Il numero di vittime della repressione fu di circa 8.960, come risulta dalle denunce di scomparsa di persone che spesso, come quelle del terrorismo, non avevano nessun contatto con il conflitto.
La cifra universalmente nota di 30.000 si deve, stando ad alcune versioni, a un calcolo che include denunce mai effettuate; stando ad altri è un numero creato a fini mediatici: secondo Amnesty International, furono 16.000. Quello che alla fine conta sono le vittime di un massacro dovuto alla pazzia umana di contendenti che, ambedue, pensavano di combattere in nome di Dio. Ma siamo sicuri che si combatterono? Eppure i morti da ambo le parti furono tantissimi. Emerge però che i capi del movimento Montoneros avessero una relazione con un Generale della marina appartenente alla triade che comandava il Paese, Massera, che li voleva al suo fianco per diventare Presidente dell’Argentina. Una diplomatica dell’Ambasciata di Parigi ebbe il coraggio di denunciare la cosa, ma sparì una volta rientrata a Buenos Aires e i suoi resti vennero trovati tre giorni dopo nel rio Lujan: si chiamava Elena Holmberg.
Ma in questa sporca guerra di potere le nefandezze non si esaurirono con il ritorno della democrazia nel 1983. In primo luogo, perché il potere militare che si era dovuto far da parte in seguito alla sconfitta nella guerra delle Malvinas mal sopportò il processo che lo coinvolse e la catena di ergastoli che seguirono furono mal digeriti e provocarono ammutinamenti e tentativi di golpe che, per fortuna, non ebbero successo. Ma dimostrarono il potere delle forze armate e riuscirono a imporre due decreti, quello di “obedencia debida” e “punto final”, emessi rispettivamente dai due primi presidenti della democrazia argentina, Alfonsin e Menem.
La seconda distonia, altrettanto grave, è da ricercare nella falsa ricostruzione storica “a futura memoria” che si è ulteriormente sviluppata sotto il kirchnerismo: quella dei buoni contro i cattivi, dove ovviamente i primi erano i gruppi politici armati. Falso, perché, come ripeto, proprio la guerra civile esplosa e già citata fece da detonatore all’accelerazione del golpe militare. Violenza contro violenza, senza limiti da ambo le parti: ecco cosa fu quel periodo. E com’è possibile che i militari siano stati giustamente giudicati mentre molti dei leader dei gruppi armati, responsabili non solo del migliaio di morti citati, ma anche dell’aver mandato molti militanti alla morte, soggiornassero tranquillamente all’estero (e lo fanno tuttora) oppure siano parte integrante del Governo attuale?
La terza distonia è rappresentata dallo “sfruttamento” politico di tutta la vicenda dei desaparecidos, che i Kirchner hanno operato profondamente, dividendo i movimenti sorti a difesa dei diritti umani ed elargendo finanziamenti faraonici (che in alcuni casi hanno generato scandali di corruzione abissali) solo a quelli che fanno da “cassa da risonanza” alla loro favola. Il tutto ha come fine di creare uno scudo in grado di coprire le malefatte governative, e questo è francamente squallido.
Per fortuna qualcosa si sta muovendo all’interno di una società, quella argentina, che ha da sempre avuto “perdite di memoria” velocissime. È un passo dovuto, perché le generazioni che non hanno vissuto quel periodo rischiano di svilupparsi nel concetto di violenza a fin di bene che di per sé è un orrore, ma anche perché l’intero Paese ha bisogno urgente di un cambio di mentalità profondo che implica anche una corretta visione storica su di una ferita mai rimarginata.
È in quest’ottica che prossimamente verranno pubblicate interviste con il Premio Nobel per la pace Perez Esquivel, con Carlos Manfroni e Victoria Villaruel, autori di libri dedicati, e con il Professor Antonio Martino, all’epoca uno dei pochi avvocati con il coraggio di firmare gli “habeas corpus”, documenti che permisero a 40 persone di riapparire e di salvarsi.