Vanessa Marzullo e Greta Ramelli sono le due cooperanti ventenni rapite in Siria e prigioniere dell’Isis. Da ieri sono più fragili, più sole, più in pericolo di quanto non fossero mai state. Quando il primo Tg del mattino ha dato la notizia di altre decapitazioni ed ha aggiunto che per la prima volta c’erano tre donne, io ho subito pensato alle loro madri. Fino a ieri l’Isis aveva mostrato la propria ferocia solo sui maschi, e sono certo che a quel pensiero si erano aggrappate le loro mamme. Da adesso la loro speranza si è spezzata.
Se leggi di un ragazzo che muore per un incidente, sei preoccupata per tua figlia che usa il motorino tutti i giorni. Allora ti alzi e vai in camera sua oppure le mandi un sms a scuola: “Mi raccomando, tesoro, vai piano in motorino, stai attenta”. Ma se tua figlia è appena uscita di casa col motorino e senti una frenata e un botto di lamiere, i metri tra te e la finestra diventano chilometri e il tempo si ferma. Ecco, da ieri penso alla notizia sentita al Tg e al rumore di lamiera di quella notizia nel cuore di quelle mamme. Decapitate tre donne. Non sono loro ma uccide la speranza.
È come sentire il rumore in strada ma non avere la finestra da cui affacciarsi e non sapere, non vedere: così il dolore, la sofferenza, la tragedia, di quell’incidente cresce a dismisura perché è tanto possibile che sia la tua, che porti il nome di tua figlia, che davvero non sai far altro che rimanere ferma ad attendere altre notizie.
Secondo la convenzione di Ginevra gli stupri di guerra sono crimini contro l’umanità perché le donne facevano la guerra dei disarmati, dei rimasti a casa a custodire i figli, a custodire la vita. Ma questa terza guerra mondiale – come dice il Papa -, quella di cui l’Isis è un pezzo, ha inventato un nuovo genere di crimine. Ci sono vittime che non sono vittime di guerra, che non stanno al fronte ma non stanno nemmeno a casa: sono le donne rapite. Le donne ostaggio. E adesso ci sono anche le madri delle donne ostaggio. Perché è stata loro tolta la speranza. Prima ti aggrappavi al fatto che è una donna. Al fatto che “prima le donne e i bambini”, che “le donne non si toccano neanche con un fiore”.
Sì, perché tua figlia è una donna. È solo una ragazza. Perché tua figlia è una donna. Era lì per fare del bene. Perché tua figlia è una donna. E c’è in quella parola – donna – tutta la speranza che una madre può trovare per armarsi contro il dolore e resistere mesi al non sapere nulla della figlia. Speri. Resisti.
Perché tua figlia è una donna. E anche tra le bestie, le femmine sono protette dal branco. Se sei madre ti attacchi a tutto quello che sai della vita per sperare. Ma adesso a quelle due mamme hanno tolto la speranza. Ora io cerco di unire cuore, mente, tutto, ad ogni passo di quelle donne che avranno richiuso radio e giornale e avranno messo pensieri e paure, da qualche parte: dove non lo so. Bisogna essere madri per saperlo. Ma, di solito, una donna con un figlio in pericolo tace. E l’unica cosa da fare è abbracciarla.