Il 28-30 novembre prossimi papa Francesco si recherà in visita in Turchia facendo tappa sia a Istanbul, dove visiterà tanto la Moschea Blu quanto Santa Sofia, che ad Ankara. Tra gli incontri in programma quelli con il Patriarca ecumenico, con le comunità cattoliche e con le autorità civili del Paese. Con i suoi circa 75,5 milioni di abitanti e un reddito pro capite che ne fa un paese a sviluppo intermedio, la Turchia da un lato ha oggi una popolazione al 98 per cento di fede o comunque di tradizione musulmana, ma dall’altro si estende nell’Anatolia, principale meta dei viaggi di san Paolo e luogo della prima espansione del cristianesimo al di fuori della Palestina. 



Dopo aver travolto l’Impero bizantino fino ad estinguerlo nel 1453, e dopo aver conquistato anche tutta l’Europa sudorientale, gli antenati degli attuali turchi premettero per secoli contro l’Europa occidentale. Solo dopo esser stati sconfitti sotto le mura di Vienna nel 1683 cominciarono ad arretrare fino al disfacimento del loro impero nel 1918-22. All’Impero ottomano seguì l’attuale Repubblica, primo e principale tentativo di ammodernamento autoritario di un paese musulmano.  Ispirandosi al centralismo e al laicismo post-giacobino della Francia repubblicana, il fondatore della Turchia moderna, il generale Mustafà Kemal, perciò detto Ataturk (padre dei turchi), volle trasformare il paese giocando tanto la carta della democrazia quanto quella della forza militare, ma con una predilezione per quest’ultima. Pretese inoltre di combattere contro i limiti dell’islam (in primo luogo l’assenza del principio di laicità e una scarsa attenzione alla libertà personale) premendo contro di esso a viva forza dall’esterno, senza alcun tentativo di sollecitarne alcuna crescita umana dall’interno. 



Il risultato di questo processo è la Turchia di oggi, sempre in bilico tra il desiderio di modernità secolarizzata delle sue élites di Istanbul e della Turchia mediterranea e l’islamismo statico e tendenzialmente aggressivo della Turchia interna, ossia della maggioranza della popolazione. A riprova della sostanza di tale stato di cose sta il fatto che, malgrado tutta la laicità ufficiale della Turchia moderna, i turchi non-musulmani, cristiani ed ebrei, sono cittadini discriminati ed emarginati, e ancora in anni recentissimi si sono dovuti lamentare assassini di sacerdoti cristiani, in particolare cattolici. Malgrado tutto questo la Turchia è una potenza “occidentale”. Si schierò con l’Occidente sin dall’inizio della guerra fredda, è membro della Nato sin dalla sua nascita e aspira ad entrare nell’Unione Europea. Oggi infine, di pari passo all’incipiente ritiro degli Stati Uniti dal Mediterraneo, la Turchia sta riassumendo un ruolo di potenza regionale del Vicino e Medio Oriente, come le crisi della Siria e dell’Iraq non smettono di confermare.   



E’ dunque un paese molto complesso, molto difficile e segnato da tensioni tanto sotterranee quanto rilevanti quello che Papa Francesco si reca a visitare alla fine del prossimo novembre. Dopo aver scelto l’Albania, l’unico paese indubbiamente europeo a maggioranza musulmana, quale meta del suo primo viaggio in Europa, egli si recherà dunque in visita a un altro e ben più grande paese musulmano che si pretende esso pure europeo (anche senza trovare al riguardo generali consensi). Le iniziative e le scelte di Papa Francesco sono spesso sorprendenti, ma nient’affatto estemporanee. Si avverte chiaramente che si collocano dentro un progetto meditato, anche se non sempre di immediata evidenza. In tale prospettiva questi suoi primi viaggi nella regione euro-mediterranea ci sembrano innanzitutto volti a tentare nuove vie per il dialogo con l’islam: vie che passano non dal mondo arabo ma da paesi musulmani non-arabi, e bene o male più europeizzati. Nel caso poi del viaggio in Turchia, con il suo incontro con il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, il Papa sceglie anche di essere pellegrino in una terra dove la presenza cristiana è oggi come l’acqua quasi invisibile che scorre tra i massi di un torrente a prima vista asciutto. Pur se oggi esili quando non sommerse, sono tuttavia le tracce della Chiesa nata dalla predicazione di san Paolo, che potranno magari, in un futuro solo per noi imprevedibile, sgorgare di nuovo.

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