In un articolo pubblicato sul New York Times, raccogliendo le testimonianze di diversi ostaggi dello Stato islamico poi liberati, si è potuto capire in che stato abbiano vissuto le loro ultime settimane James Foley e gli altri prigionieri poi uccisi dai miliziani di Isis. E’ un racconto dell’orrore che dice tutto su una sorte già drammatica per la morte che li ha colpiti, ma resa ancora più drammatica dalla brutalità e dalle violenze dei carcerieri. James Foley in particolare, il primo degli ostaggi a essere messo a morte lo scorso agosto, in quanto americano, ha subito la sorte peggiore. Tra le testimonianze raccolte dal giornale americano anche quella di un ex miliziano islamico che si trovava in una delle località in cui Foley era tenuto prigioniero. Una di queste località era una fabbrica nelle vicinanze di Aleppo. Nel computer di Foley e del giornalista inglese ancora oggi prigioniero, John Cantlie, vennero trovate foto di soldati americani e inglesi in Iraq e Afghanistan, foto che vennero usate per condannarli in quanto, secondo i miliziani, quelle foto “glorificavano i crociati americani”. In seguito Foley venne portato a Raqqa dove condivideva una cella di circa sessanta metri quadri con altri diciannove prigionieri. Qui Foley subiva spesso la tortura cosiddetta “waterboarding”, essere cioè immerso nell’acqua fino a quasi soffocare. Per lunghi periodi venivano nutriti con una tazza di cibo al giorno, dormivano per terra senza materassi e venivano regolarmente picchiati. In queste condizioni, Foley era sempre pronto a condividere il suo cibo e le coperte con gli altri prigionieri, cercando di tenere alto il morale di tutti. A Natale del 2013 organizzò addirittura un gioco, “Secret Santa” dove ogni prigioniero cercava di fare un regalo a sorpresa agli altri con quello che aveva a disposizione. Sempre secondo quanto si legge, gli islamici avevano chiesto per la sua liberazione un riscatto di cento milioni di dollari, ma il governo americano avrebbe rifiutato di pagare.