Rassicuriamo tutti su ciò che è accaduto in Tunisia, soprattutto gli sponsor dell’estremismo in giacca e cravatta: non è una rivoluzione, è la democrazia. Capisco che la libera volontà di un popolo non vada molto d’accordo con i progetti e i programmi degli strateghi internazionali del mondo arabo, che a tutt’altro avevano pensato per la Tunisia, l’Egitto, la Siria e tutto il quadrante, ma i tunisini hanno scelto e hanno voltato le spalle all’islamismo.
La Tunisia liberale, moderna, libera, ha vinto. Solo due anni e mezzo fa ci veniva detto che la rivoluzione dei gelsomini era l’unica possibilità di progettare un futuro democratico per il Paese; dopo le elezioni che avevano visto vittoriosa Ennahda l’opinione pubblica mondiale aveva parlato di prova della democrazia superata, e nemmeno dopo l’assassinio di Chokri Belaid, ucciso davanti alla sua casa perché si opponeva all’estremismo, i governi mondiali avevano alzato un dito per difendere la Tunisia dal baratro in cui stava profondando.
Ma i moderati hanno continuato a lottare, a scendere in piazza, a volto scoperto, donne e uomini liberi che volevano riappropriarsi del proprio destino. Avevano paura, certo, e ce l’hanno ancora oggi perché sanno che l’estremismo è ancora più pericoloso quando è sconfitto. La coda dello scorpione ti colpisce mentre si ritira, quando già pensi di averlo battuto.
Ma la Tunisia è forte e si ritrova dopo tre anni ad aver raggiunto un risultato insperato: aver cacciato Ben Alì e i suoi sodali, ma anche l’estremismo e le sue propaggini politiche che venivano dall’estero ad insegnare a un popolo fra i più progrediti del mondo arabo cosa fosse la democrazia. Chi oggi ha perso la battaglia elettorale, fino a ieri veniva sdoganato artificialmente come formazione moderata quando in realtà era tutt’altro. Le urne hanno detto la loro su cosa è capace di fare un popolo quando prende coraggio e capisce che la partecipazione può davvero cambiare le cose.
Il 62 per cento dei tunisini si è recato alle urne per votare e Nidaa Tounes, partito laico d’opposizione, ha battuto sonoramente Ennahda. Cosa sarà ora della Tunisia? Cosa sarà del quadrante nordafricano? Dell’Egitto sappiamo, con Al Sisi che ha ristabilito l’ordine e tenta di riportare il Paese nell’alveo delle potenze internazionali, la Libia è in preda al caos ma la resistenza all’avanzata estremista si è organizzata e combatte per scongiurare che l’infezione uccida il corpo sociale libico, in Marocco il rebus sulla sopravvivenza del governo Benkirane, a guida Pjd, è tuttora aperto e rischia di essere influenzato dall’esito elettorale tunisino.
A Tunisi le speranze tornano a farsi vedere, il popolo cerca la sua via negli esponenti liberali che sono stati eletti e che dovranno prima di tutto spezzare le catene della paura e del passato, per far sì che l’anima e l’insegnamento di Bourghiba tornino a risuonare nel cuore di ogni cittadino che ama la sua patria. Nulla di nuovo, nulla di stravolgente all’ombra dei gelsomini di Tunisi: è la democrazia che trionfa e allontana le sinistre figure che hanno tramato, senza successo, contro un Paese per renderlo schiavo.