Un nuovo ministro degli Esteri dovrebbe venire nominato in questi giorni in sostituzione di Federica Mogherini, promossa (si fa per dire) all’evanescente incarico di Alto rappresentante della politica estera europea.

Renzi procederà alla nomina dopo essersi consultato con il presidente della Repubblica. Girano frattanto i nomi di diverse ragazze insieme a quello del povero Lapo Pistelli, viceministro degli Esteri in carica, che ha le competenze giuste ma il sesso sbagliato. Il povero Lapo è infatti un uomo quando, con l’aria che tira, sostituire una ministra con un ministro è più che mai politicamente scorretto. Il premier ama fare sorprese, ma la nomina alla Farnesina di un uomo con esperienza in materia al posto di una ragazza di belle speranze sarebbe davvero un colpo di scena. Restiamo dunque all’ipotesi più probabile lasciando che siano poi eventualmente i fatti a smentirla. 



Diversi commentatori parlano della ricerca in corso di una “nuova Mogherini”. L’espressione è interessante perché ha un contenuto più pregnante di quanto appaia a prima vista. Più che una persona, il cognome del ministro uscente viene così a significare un tipo, un “format”: una giovane donna di buoni studi e di buone maniere che stia al vertice di un ministero in veste di Alto rappresentante del vero ministro, ossia del presidente del Consiglio. 



Il “format” delle donne con cariche ministeriali nell’attuale governo è uno dei colpi di genio di Renzi. Si tratta di regola di persone così felici e comprensibilmente così sorprese di essere divenute ministri da non avere né tempo né modo di fare altro. D’altra parte come potrebbero? C’è già Renzi al posto loro. E’ un colpo da maestro con cui il premier da un lato si è guadagnato i galloni di grande promotore delle “quote rosa” e dall’altro si è tenuto stretta nelle sue mani la maggior parte dei ministeri. 

Nel caso degli Esteri tuttavia questo “format” rischia più che mai di non funzionare. Il ministro degli Esteri non se ne può stare solo a Roma, a un tiro di schioppo (e di telefono) da Palazzo Chigi. Diremo, parafrasando il Giusti, che “in grazia dell’impiego” deve andare a rappresentare il governo italiano all’estero, anche a molti fusi e a molte ore di volo di distanza dallo Stivale. Stando così le cose, non è detto che una ragazza di belle speranze, di buoni studi e di buone maniere possa stare in campo anche in situazioni in cui non può limitarsi a fare la parte dell’apripista del premier. 



Il premier a sua volta, o perché non ha tempo o perché si fida troppo di sé, in sede internazionale molte volte dà l’impressione di parlare senza nemmeno aver aperto quelli che i diplomatici chiamano i “dossier”, ovvero le cartellette contenenti almeno della documentazione in sintesi riguardo alle questioni sul tappeto. Anche in questo cruciale campo, come in altri, c’è insomma il rischio che alle sue buone intenzioni non seguano i fatti. 

Fedele in questo alla parte migliore del suo itinerario formativo, Renzi pensa a una politica estera che, secondo il profetico insegnamento di Giorgio La Pira, vede il Mediterraneo non come problema bensì come grande risorsa e vocazione del nostro Paese. Per parte nostra siamo del tutto d’accordo. Non ci pare però che Renzi tenga conto della complessa e impegnativa virata che si deve imprimere alla politica estera del nostro Paese per riorientarla in tal senso dopo i decenni di assoggettamento agli interessi “atlantici” che sono inevitabilmente seguiti alla vittoria alleata nella seconda guerra mondiale. Una virata che beninteso occorre fare evitando dannose lacerazioni con il Nord Europa atlantico e il suo Grande Fratello americano. E tutto questo nel quadro del radicale cambiamento degli interessi strategici di Washington seguito allo sviluppo negli Usa dell’estrazione di gas e di petrolio da scisti bituminosi. Uno sviluppo grazie al quale gli Usa sono divenuti nel 2013 il primo produttore di petrolio del mondo, e non solo non hanno più bisogno di importarne ma anzi potrebbero esportarlo (se ciò fosse consentito dalla loro legislazione, che invece lo vieta).

Sarà la “nuova Mogherini” all’altezza dell’impresa? Dai nomi che girano, sperarlo è cosa temeraria, ma che altro ci resta da fare?