Continua l’attacco dei tagliagole dell’Isis ai giacimenti petroliferi e di gas in Siria – l’ultimo a Homs: nella guerriglia sono morti circa 30 soldati fedeli al regime di Bashar Al Assad – e prosegue l’assedio a Kobane, nel Kurdistan siriano, a un passo dalla Turchia. La città è teatro di una scontro che si trascina ormai da oltre un mese. Nelle ultime ore sono arrivati rinforzi dell’esercito libero siriano e si aspettano ulteriori peshmerga per respingere gli jihadisti. Intanto gli Usa lanciano l’allarme, dicendo che il Califfato ha incaricato lupi solitari di attaccare le scuole occidentali in Egitto, Arabia Saudita e Libano. Qual è la situazione attuale, oltre che la linea statunitense e turca? Abbiamo fatto il punto con il generale Carlo Jean.



L’Isis attacca un giacimento di gas a Homs scontrandosi con l’esercito filogovernativo.

La situazione è bloccata e lo stallo c’è da parecchio tempo, anche perché l’esercito siriano governativo mantiene la sua coesione ed efficacia combattiva. La rivolta non è nelle condizioni di sconfiggerlo, vista anche la sua divisione in più rivoli; d’altra parte, però, l’esercito non può controllare il territorio.



Nel mentre a Kobane, stretta d’assedio da oltre un mese dai tagliagole del Califfato, arrivano i rinforzi dell’esercito libero siriano dei peshmerga.

In un modo o nell’altro ritengo che ci sia un accordo perlomeno temporaneo, non certo completo, che comporterebbe il fatto che gli Stati Uniti facciano, per vie dirette e traverse, ad Assad lo stesso scherzo fatto ad al-Maliki, ovvero convincerlo ad abbandonare il potere. Ma questo susciterebbe notevoli resistenze da parte dei sunniti che rappresentano l’85 per cento della popolazione islamica del mondo.

Qual è lo stato dell’avanzata delle truppe jihadiste dell’Isis?



La guerra ha i suoi momenti di discontinuità. Quello che è certo è che l’Isis ha dei combattenti molto validi e dei comandanti a livello tattico estremamente bravi, come il ceceno che comanda la falange nella zona di Falluja, Ramadi e a sud di Baghdad.

Gli Usa hanno lanciato l’allarme: lupi solitari arruolati dal Califfato anche con l’obiettivo di colpire scuole occidentali in Egitto, Arabia Saudita e Libano.

L’Isis, a differenza di al-Qaeda, ha una proiezione più interna che internazionale: combatte il nemico interno (gli sciiti e i sunniti che non vi aderiscono), per questo non risulta che vi sia un pericolo immanente di attacco all’Occidente.

E della linea degli States cosa pensa?

È dovuta a un presidente molto indeciso, più un filosofo che un comandante. Obama ha fatto già abbastanza disastri: lo Stato islamico è sostanzialmente una sua creazione, quando ha deciso di abbandonare l’Iraq a se stesso, consentendo ad al-Maliki di marginalizzare i sunniti che con le loro milizie e forze sono state all’origine dei successi dell’Isis.

E la posizione, tra ambiguità e collaborazione alla coalizione, della Turchia?

A mio avviso è molto realista. Il governo di Ankara chiede che la coalizione non si limiti a combattere i terroristi e a rafforzare i turchi, bensì che agisca in modo da scalzare e creare una zona cuscinetto in Siria e a protezione del suo territorio: è una posizione machiavellica, cinica, ma che corrisponde agli interessi nazionali turchi. Certo, rappresenterebbe un atto di aggressione nei confronti di Assad, ma l’obbiettivo della Turchia è proprio quello di coinvolgere gli Usa contro il regime di Damasco, cosa dalla quale Obama si è tenuto ben lontano dal fare al momento. Ma c’è una cosa da dire.

 

Prego.

Il Califfato è riuscito a creare notevole trambusto in Turchia, in particolare con la protesta della minoranza curda contro Erdogan per non aver aiutato i curdi di Kobane. Ma qui è bene tenere a mente che i curdi di Kobane fanno parte del Partito democratico curdo, che è un affiliazione del PKK che in Turchia ha provocato circa 40mila morti.

 

(Fabio Franchini)