NEW YORK — È comparsa a Milwakee per sostenere la campagna elettorale di Mary Burke, candidata governatore del Wisconsin. Il mese scorso la si è vista in Georgia per aiutare Michelle Nunn nella sua corsa al seggio vacante in Senato. Poco più di niente. Michelle Obama sta facendo una campagna elettorale di basso profilo e di limitatissimo impegno. E dire che con le elezioni di midterm a novembre c’è in ballo la maggioranza al Congresso, il che significa che c’è in ballo che il marito, il presidente, possa tentare di combinar qualcosa nei due anni di mandato che gli restano. 



Ora, mentre un italiano medio potrebbe legittimamente chiedersi perché mai la moglie di un Presidente dovrebbe impegnarsi in campagna elettorale, un americano medio potrebbe altrettanto legittimamente chiedersi perché ci si impegni così poco. Le first ladies italiane — diciamolo, e non per offendere — fanno un po’ da tappezzeria. Quando va bene sono graziose, discrete, e magari anche forti e vigorose, ma nel loro ambito familiare. Qui è diverso. Qui la first lady è proprio, come dire, “il riflesso pubblico del volto umano” del presidente. 



Quantomeno, “l’apparenza del riflesso pubblico del volto umano” del presidente, perché poi come effettivamente se la cavino tra di loro, tra marito e moglie all’interno di quella grande casa bianca lo sanno solo le figlie e Dio. Se il marito è chiamato a mantenere il paese alla guida del mondo, la moglie, di questo paese, ne è un po’ la mamma. Il suo sguardo, le sue attenzioni, le sue energie ed i suoi interventi pubblici sono tutti rivolti al bene dei suoi figli. L’ambito familiare di una first lady americana è la propria nazione. Michelle è una first lady che gli americani sembrano gradire. È vero che a guardarla in faccia a tanti Michelle sembra “cattiva”, è vero che ha fatto qualche uscita inopportuna come l’intrusione alla notte degli Oscar, ma l’indice ufficiale di gradimento dice 60 per cento. Tenendo conto che ci sarà sempre una schiera che la odierà per il solo fatto di essere democratica, 60 per cento è veramente tanto. Complimenti! 



Ovvio poi che la sua figura magnetizzi l’attenzione e l’affetto di donne, afro-americans e minoranze varie. Allora perché la signora si sta spendendo così poco in una campagna elettorale in cui i Democratici rischiano di buscarle? Perché non la vediamo in giro più spesso considerato che ogni volta che compare da qualche parte le platee si affollano ed infiammano?

C’è chi dice che Michelle Obama non ami allontanarsi di casa, che preferisca stare con le sue figlie che trascorrere tempo con attivisti di partito. C’è anche chi dice che in verità la signora ce l’ha a morte (si fa’ per dire) con tanti pezzi grossi del partito democratico perché costoro non hanno preso seriamente alcune delle campagne sociali da lei lanciate e sostenute nel suo ruolo di first “mamma” degli US.

In particolare quella sull’obesità nei bambini, problema serio soprattutto tra la gente di colore. Per i politici, democratici inclusi, questione di poco conto. Evidentemente Michelle — che oltre all’apparente “faccia cattiva” deve avere il suo caratterino — se l’è legata al dito. Quei democratici lì il suo aiuto se lo sognano. 

Ma c’è un’altra questione che interviene ad incidere sulla sua presenza (assenza) in questa campagna. Per quanto attraente sia la sua figura, Michelle resta la moglie di suo marito. Il cognome Obama non è al momento tra i più popolari in America. Se l’approval rate di Michelle è alto, quello di Barack non arriva al 40 per cento. In altre parole, se io, candidato democratico, voglio spendere bene le mie chance di essere eletto, farò meglio a tirare una riga tra me e il presidente perché se il mio angelo custode è uno che oggi come oggi non raccatta la maggioranza, più che un protettore è una pietra d’inciampo. 

Il cognome Obama per i candidati democratici oggi è un ostacolo. Anche “l’utilizzo” di Michelle ne paga le conseguenze. Per quanto riguarda l’immediato futuro sembra che Hillary abbia intenzione di provare a fare come il marito. Magari provare a fare “meglio” del marito. Chissà che prima o poi non ci si metta anche Michelle.